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L'analisi/ 12 marzo: Tutto bloccato. Il Pd si sfila

Si ragiona su un Governo di emergenza

Fabrizio Finzi ROMA

Tutto bloccato. Non si vede alcuna maggioranza in grado di raccogliere la fiducia in Parlamento. Come previsto il Pd per ora si sfila da ogni accordo e, dopo le dimissioni di Matteo Renzi, segue la linea dell'ex segretario che colloca un partito tramortito all'opposizione. Tanto che Sergio Mattarella ripete l'appello alla responsabilità ma, rispetto a quello dell'otto marzo, sembra oggi più rivolto alle forze vincitrici delle elezioni, cioè Lega e Cinque stelle. Che sono fermi sulle loro distanze. Matteo Salvini ribadisce che gli elettori non hanno votato il centrodestra per fare accordi con Renzi o Gentiloni. Di Maio osserva dal suo quartier generale ma avvia un dialogo discreto con la Lega su come dividersi le presidenze delle Camere.

Al nord intanto non si riesce a nascondere il nervosismo che vibra nel centro-destra dove Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, non solo non si fidano l'un dell'altro, ma stanno prendendo atto delle loro distanze. Tanto che è più facile ormai parlare di quattro poli in scena. Determinante sarà l'incontro a quattr'occhi tra i due leader che per ora non si mettono d'accordo neanche su quando e dove farlo. Gli scenari più bui salgono nell'ordine delle soluzioni messe in preventivo dal Quirinale, dove sin dall'inizio della crisi si spera nell'effetto tempo per una maturazione delle rigidità contrapposte.

Scala posizioni quindi nel toto-governo il borsino di un esecutivo d'emergenza (mille le definizioni alternative, Governo di scopo, del presidente, grande coalizione...), unica alternativa ad oggi a un rapidissimo ritorno alle urne. Soluzione quest'ultima che Sergio Mattarella conserva nel buio del suo cassetto più profondo. Ma non sfuggono neanche al Colle i diversi punti deboli che accompagnano una soluzione a termine, impiantata su pochissimi punti di programma. Primo fra tutti l'elaborazione di una nuova legge elettorale.

Al di là del fatto che un Governo del genere si costituirebbe solo su "chiamata" pubblica del presidente (con tutte le responsabilità che una scelta del genere farebbe gravare sul Quirinale), si è sempre detto che una riforma della legge elettorale andrebbe scritta all'inizio di una legislatura. Una vera legislatura. In questo caso il Parlamento si troverebbe a lavorare con centinaia di neo-eletti ben consapevoli che l'approvazione della riforma certificherebbe la propria fine. Altissimo il rischio di un nulla di fatto e un altro anno sarebbe passato inutilmente. Certo, l'altra faccia della medaglia si basa sull'esperienza e informa che quando nasce un Governo questo non scade come il latte. L'esecutivo non è mai a termine, vive finchè ha la fiducia del Parlamento. E da cosa nasce cosa..., come ben insegna la legislatura appena passata attraverso vita e morte di ben tre premier, da Enrico Letta a Paolo Gentiloni passando per Matteo Renzi.

Intanto tutti si preparano a una guerra di logoramento che l'Europa osserva con preoccupazione. Il ministro Padoan non si mette di traverso e conferma di star lavorando sul Def solo al quadro tendenziale. Quindi "non ci saranno da parte de governo uscente ipotesi programmatiche perché questo non è compito del Governo uscente ma del prossimo". Poi si dice certo che l'Unione europea "faciliterà la transizione con nuovo Governo". Il che significa che ci darà tempo. Resta da vedere se i Mercati e lo spread saranno altrettanto pazienti.

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