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Lavoro, minoranze Pd abbassano toni ma banco prova in Aula

Tentativo "sminare" direzione; Bersani avverte Renzi,sta a te

Nel borsino parlamentare perde quotazioni l'ipotesi di una spaccatura del Pd sul Jobs act. Le diverse anime della minoranza provano a tenere il punto, ma senza andare allo scontro frontale con il segretario-premier. E offrono come ramoscello d'ulivo in vista della direzione di lunedì l'impegno a tenere i toni bassi, anche di fronte a dichiarazioni "provocatorie" come quella di Giuliano Poletti ("Basta pasticci e tabù", dice il ministro; "Pensi a svelenire il clima", replica Francesco Boccia). Ma non si chiuderà in direzione il confronto interno al partito.

"La data più importante è il 2 ottobre", sottolinea Pippo Civati: se i numeri della direzione sono a favore di Renzi, alla prova dell'Aula del Senato l'atteggiamento dei singoli senatori non è scontato. Su un punto tutti concordano: fino a che Matteo Renzi sabato non rimetterà piede in Italia, i tentativi di trovare una mediazione sul lavoro sono poco più di un 'pour parler'. Roberto Speranza ha aperto un canale di confronto con Lorenzo Guerini e Filippo Taddei. Nel transatlantico della Camera è un continuo formarsi di capannelli. I "giovani turchi" si propongono come mediatori. E Area riformista fa sapere che considera accettabile allungare il periodo di prova nel contratto a tutele crescenti, sul modello indicato da Tito Boeri e Pietro Garibaldi. L'ipotesi è far scattare il reintegro previsto dall'articolo 18 come modificato dalla legge Fornero dopo 5 o 7 anni. Ma non soddisfa tutti.

"Sento parlare di dieci anni, allora tanto vale dare l'art. 18 ai pensionati - scherza Pippo Civati - Per me anche con la soluzione 3+3, che farebbe scattare l'indennizzo dal quarto anno e la reintegra dal settimo, non cambia niente". Alfredo D'Attorre e Stefano Fassina, che come Francesco Boccia insistono sulla necessità di affrontare in direzione anche il tema della legge di stabilità, chiedono al premier un incontro prima della direzione, per mettere a punto insieme una linea unitaria. E Pier Luigi Bersani puntualizza che se non si troverà una sintesi, "non solo possibile, ma abbastanza agevole", la responsabilità sarà tutta in capo a Renzi: "Basta volerlo". "E' un dovere di tutto il Pd discutere per una soluzione unitaria", sottolinea anche Gianni Cuperlo. Roberto Speranza, che raccoglie l'istanza dialogante venuta dalla maggioranza dei parlamentari di Area riformista, si dice ottimista sui margini per una sintesi (l'ipotesi di un referendum non esiste, ribadisce). Dalla segreteria del Pd però frenano sulle aperture che Renzi è disposto a concedere: da New York il premier ha messo in chiaro che non accetterà freni al cambiamento e "compromessi" al ribasso.

L'ipotesi è che in direzione il segretario porti avanti la sua linea, salvo concedere qualche aggiustamento alla minoranza in Aula. Anche per questo c'è chi, come Civati, invita già a guardare oltre la direzione. A martedì mattina, quando si riuniranno in assemblea i senatori Pd. E a giovedì, quando dovrebbero giungere i voti più delicati nell'Aula di Palazzo Madama. Renzi l'ha detto: tutti si devono adeguare alla linea decisa dal partito in direzione. Ma nulla esclude, fa notare Civati, che alcuni dei quaranta senatori firmatari degli emendamenti di minoranza si smarchino e ad esempio non partecipino al voto in Aula, come sulle riforme (si va verso "un altro sbrego alla Costituzione", già denuncia Corradino Mineo). Ieri Rosy Bindi aveva diffidato dal ricorrere ai voti di FI. Oggi, dopo aver a lungo conversato con Bersani in transatlantico, consegna ai cronisti solo un sibillino: "Tanto io in direzione non ci sono...". Ma "il soccorso azzurro non ci serve e non ci servirà", assicura David Ermini, responsabile Giustizia del Pd. "Il problema non è il soccorso azzurro, sono quelli che vogliono fare mancare i voti alla linea del partito".

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