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Jobs Act: 689 emendamenti in tutto, oltre 500 da Sel e M5S

Sono 689 gli emendamenti presentati nell'Aula del Senato al Ddl delega sul lavoro, parte del Jobs act del Governo. Quaranta in tutto gli ordini del giorno. Nel dettaglio, la maggior parte degli emendamenti sono stati presentati da Sel (353) seguita da M5S (158). Fi e Lega hanno presentato entrambi 48 proposte di modifica. Il Pd, nel suo complesso, ha presentato 31 emendamenti, 9 sono a firma Sc. Ncd, così come annunciato, non ha presentato proposte di modifica.

 

Battaglia aperta, a suon di proposte di modifica, sulla legge delega sul lavoro, pronta per la discussione nell'Aula del Senato, con il Pd che resta diviso. Un dibattito che il ministro dell'Economia, guardando al nodo dell'art.18, definisce "paradossale", in quanto se si guardano ai numeri "ci si accorge che i lavoratori 'impattati'" sono "pochissime migliaia": importanti "perché parliamo di persone, ma irrilevanti di fronte all'interesse collettivo" di maggiore occupazione ed equità. Insomma: basta con "un accanimento ideologico che l'Italia non si può più permettere".

Sulla delega sono arrivati 750 emendamenti, circa 40 dei quali dal solo Pd e 450 da Sel. Ma il tam tam, in attesa del confronto della direzione del Pd, è che si possa andare ad un contratto a tutele crescenti che preveda 10 anni prima di arrivare all'applicazione piena dell'art.18. Le minoranze del Pd, che hanno chiesto al premier Renzi e alla segreteria un incontro per discutere di un possibile documento unitario da presentare in direzione, hanno presentato 7 emendamenti (firmati da una quarantina di senatori) al Jobs act, uno sull'art.18, chiedendo che dopo 3 anni per tutti i neoassunti ci sia la tutela piena del reintegro prevista oggi nei casi di licenziamento illegittimo (nella fase precedente l'indennizzo commisurato all'anzianità di servizio).

Subito è arrivato l'alt di Ncd. Con il capogruppo al Senato, Maurizio Sacconi, che ha affermato che "gli emendamenti presentati dalla minoranza del Pd sono irricevibili per chi voglia riformare il mercato del lavoro", fanno emergere "una visione vecchia e ideologica": "noi non li voteremo mai". Per il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, invece, questi emendamenti "indicano la strada giusta". "La posizione del Pd è decisa dalla direzione. Per come conosco io Renzi credo non accetterà diritti di veto da parte di nessuno", avverte il vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani.

L'ipotesi che circola tra i parlamentari del Pd è quella che i renziani possano prevedere la tutela piena dell'art.18 nel nuovo contratto previsto dal Jobs Act solo 10 anni dopo l'assunzione. Ma il confronto e' appena iniziato. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha partecipato alla riunione del gruppo del Pd al Senato, insieme al responsabile Economia e Lavoro del partito Filippo Taddei, dopo la quale le minoranze dem hanno presentato gli emendamenti. Poletti ha ribadito ancora una volta che i licenziamenti discriminatori "non sono mai entrati nella discussione" e sottolineato che "sul resto c'è una discussione del Pd" sulla delega sul lavoro, che "guarderà tutte le questioni che sono aperte. Questo posso dire io: io faccio il ministro", al resto "pensi il segretario del partito".

In un'anticipazione di un'intervista ad Avvenire intanto, il titolare di via XX Settembre Padoan assicura che ci saranno risorse per "finanziare misure importanti" come "la nuova indennità di disoccupazione e la riduzione delle tasse sul lavoro. E che "dopo la riforma contenuta nel Jobs Act "il nuovo mercato del lavoro offrirà più prospettive di lavoro, più prospettive di investimento e di crescita e soprattutto retribuzioni più elevate. È una soluzione "win-win", come dicono in Inghilterra". Per questo invita le imprese a credere nelle riforme e ad anticipare gli investimenti.

Chiara, sul tema caldo dell'art.18, la posizione di Carlo De Benedetti: "è un problema minore rispetto ai problemi drammatici di questo paese", anche se è stato "storicamente importante". Domani intanto prenderà il via la discussione nell'Aula di Palazzo Madama, ma il voto sul Jobs act ci sarà la prossima settimana, dopo la direzione del Pd, convocata per lunedì 29 (che darà "un elemento di chiarezza", dice Taddei). "Sugli altri casi di reintegro si discuterà in direzione", ha affermato anche la capogruppo Pd in commissione Lavoro del Senato, Annamaria Parente: "Votiamo - ha aggiunto - dopo la direzione del Pd". Gli emendamenti presentati dalle minoranze del Pd (tra i primi firmatari, Guerra, Ricchiuti, Gatti, Fornaro, D'Adda) riguardano però anche il tema degli ammortizzatori sociali, con la richiesta che ci sia prima la loro riforma, con tanto di specificazione delle risorse, e l'individuazione delle politiche attive, poi la revisione delle tipologie contrattuali, comunque da sfoltire. Un emendamento per chiedere la certezza delle risorse per il capitolo ammortizzatori nella legge di Stabilità viene presentato anche dai senatori del Pd presenti in commissione Lavoro. Sulla questione interviene Taddei, sottolineando che "il nostro obiettivo è estendere tutele e diritti. Ci sono due tipologie di lavoratori più esposti: 300 mila co.co.pro. e un milione di lavoratori a tempo determinato ed il nostro obiettivo è - appunto - di estendere le tutele almeno a loro".

Tra le proposte di modifica sottoscritte dalle minoranze Pd anche che il contratto a tempo indeterminato sia promosso come "forma privilegiata" di contratto, rendendolo "progressivamente più conveniente" rispetto agli altri tipi di contratti in termini di oneri diretti e indiretti. E poi che la possibilità di cambiare le mansioni di un lavoratore necessiti di un accordo tra le parti. Paletti, inoltre, sui controlli a distanza e sul ricorso ai voucher.

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