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Cervantes e Shakespeare, Don Chisciotte vs Amleto

Comparazione tra due grandi secondo il Canone di Harold Bloom

    Non sono molti gli autori le cui opere o personaggi sono stati così popolari da essere diventati aggettivi di uso comune. Tra i più noti c'è certamente kafkiano, pirandelliano, poi anche amletico e donchisciottesco, in riferimento al principe danese di Shakespeare e al cavaliere della Mancia che inseguendo i propri sogni e ideali combatteva con i mulini a vento (e anche questo modo di fare è traslato nell'uso comune), creato da Miguel de Cervantes, di cui ricorrono il 23 aprile i quattrocento anni dalla morte, avvenuta, così vuole la tradizione, lo stesso giorno e anno di quella di Shakespeare.
    Donchisciottesco andrebbe quindi letto come definizione positiva di una persona, forse poco concreta, ma pronta a balzare in sella per correRE in aiuto di chi ha bisogno. Al contrario l' ''essere o non essere'' di Amleto è tutto chiuso nella sua personale vicenda esistenziale. Non a caso il grande critico HaroLd Bloom scrive che ''Shakespeare ci insegna a parlare a noi stessi, mentre solo Cervantes ci mostra come parlare tra di noi. E, anche se Cervantes e Shakespeare costruiscono realtà talmente vaste da contenerci tutti, Amleto è un'individualità indifferente, in fondo, sia a se stesso, sia agli altri, mentre il cavaliere spagnolo è una personalità di gran cuore che tiene a sé come a Sancho Panza e a tutti gli altri di cui va in soccorso''.
    Per Bloom sempre la forza tutta anticipatrice e moderna di questi due autori e dei loro due personaggi principali è ''la capacità di essere ironici anche quando si comportano da pazzi'', per cui ''Cervantes è comico in maniera sublime, come lo è Shakespeare, ma il Don Chisciotte non si può definire una commedia più di quanto possa esserlo l'Amleto''.
    E a riprova di quanto dice sottolinea come Cervantes e Shakespeare abbiano creato gran parte delle tipologie umane che conosciamo o ''almeno i modi in cui queste possono essere rappresentate'' e cita come esempio supremo l'Ulisse ebreo irlandese di James Joyce, ''che può dirsi sia donchisciottesco che shakespeariano''.
    Harold Bloom, che oggi ha 86 anni essendo nato a New York nel 1930, è considerato uno dei più influenti critici letterari sul piano internazionale ed è stato professore emerito all'Università di Yale, Sterling Professor di Discipline Classiche alla stessa Università, e Berg Professor di Lingua e letteratura inglese all'Università di New York. Bloom è noto, per dovere di cronaca, anche per certe sue prese di posizione considerate provocatorie verso vari autori contemporanei e in particolare su alcuni vincitori del Nobel, da Le Clezio giudicato illeggibile a Dario Fo che definisce ridicolo. Tra i suoi tanti saggi, editi in italiano da Bompiani e Rizzoli, i più noti e importanti sono ''Il Canone Occidentale'' e ''Il genio''.
    Per lui, Cervantes e Shakespeare, che furono contemporanei, ''hanno in comune l'universalità del genio e sono gli unici possibili pari di Dante Alighieri nel canone Occidentale'', aggiungendo, con uno sguardo a tutta la storia letteraria, che, ''da un certo punto di vista, Cervantes e Shakespeare occupano la suprema vetta: impossibile precederli, perché sono sempre lì, davanti a noi''.
    Un ultima notazione biografica, nella comparazione tra i due, può evidenziarci come Shakespeare sia riuscito nella sua vita tranquilla e con le sue opere a raggiungere il successo e diventare più o meno ricco, mentre Cervantes ha avuto un'esistenza tribolata, ferito a Lepanto, in fuga in Italia, prigioniero ad Algeri, servitore di Filippo II che non lo compensò mai davvero, non ebbe in vita né fama, né tantomeno ricchezze. (ANSA).
   

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