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Piazza Fontana raccontata nel film di Giordana 'Romanzo di una strage'

Con Mastandrea nei panni del commissario Calabresi e Favino in quelli dell'anarchico Pinelli

di Nicoletta Tamberlich

ROMA - Non si non sofferma sulle sequenze più violente: sia l'attentato che le morti dei protagonisti avvengono fuori campo. Romanzo di una strage (Scheda) è l'atteso film di Marco Tullio Giordana che si apre con la strage di piazza Fontana a Milano, nella Banca Nazionale dell'Agricoltura e si conclude con l'uccisione del commissario di polizia Luigi Calabresi, finito a colpi di pistola a pochi passi da casa sua.

L'attentato del 12 dicembre del 1969, che provocò la morte di 17 persone, rimane una delle pagine più oscure della storia italiana. Ispirato al libro Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli (Ponte alle Grazie) e sceneggiato dal duo Sandro Petraglia-Stefano Rulli, oltre che dallo stesso Giordana, vede Valerio Mastandrea nei panni del commissario Luigi Calabresi e Pierfrancesco Favino in quelli dell'anarchico Giuseppe Pinelli, mentre Fabrizio Gifuni è uno struggente Aldo Moro. Se Laura Chiatti è la moglie di Calabresi, Michela Cescon é quella di Pinelli. Giorgio Colangeli è Federico Umberto D'Amato, Omero Antonutti il Presidente Giuseppe Saragat, Luigi Lo Cascio il giudice Ugo Paolillo, Giorgio Tirabassi il professore. Attorno a loro ruotano politici di primo piano, servizi segreti, estremisti di destra, Giovanni Ventura (Denis Fasolo) e Franco Freda (Giorgio Marchesi), giornalisti - tra cui Marco Nozza del 'Giorno' (Thomas Trabacchi), unica voce fuori dal coro.

Marco Tullio Giordana realizza un film a tratti didascalico ma che ha il coraggio della verità storica: mostra chiaramente che il commissario Calabresi non si trovava nella stanza quando Pinelli cadde. Demolisce alcune dicerie corse in quegli anni: il 'colpo di karate' su Pinelli era, come spiega il medico del Tribunale impersonato in un piccolo cammeo da Luca Zingaretti, l'ematoma lasciato dal tavolo dell'obitorio. Un falso creato ad arte anche la voce che voleva Calabresi un uomo Cia. Giordana spiega così la scelta di fare questo film: "Oggi noi sappiamo. Se una tragedia come quella di piazza Fontana entra a far parte della cultura di un popolo, allora non può essere solo un punto di domanda. Romanzo di una strage è rivolto soprattutto ai ragazzi più giovani, a chi non sa nulla di quegli anni ed ha il diritto di sapere". Fa notare ancora il regista: "il mio film é lontano da qualsiasi partigianeria e ideologia: serve a spiegare degli avvenimenti attraverso lo strumento dell'arte. Se Pasolini a proposito delle stragi scrisse 'Io so, ma non ho le prove', dopo 40 anni possiamo fare nomi, ed è giusto farli".

Giordana nel film mette in evidenza la pretestuosità della scelta della pista anarchica nelle indagini e il ruolo dei giovani neofascisti, coperti dai servizi segreti deviati ma anche dai servizi stranieri americani e non solo, pronti a reazioni clamorose di fronte ai movimenti del '68. Sullo schermo vengono mostrate le piste seguite e quelle occultate (come l'ipotesi che quel giorno scoppiarono due bombe, una anarchica e una fascista), le infiltrazioni nei movimenti estremisti di destra e sinistra, i depistaggi, quindi la nascita della strategia della tensione. "Su Piazza Fontana è stato fatto un lavoro di disinformazione e depistaggio - sottolinea ancora il regista - su cui sono caduti anche i grandi giornali: io mi sono messo nei panni di tutti per raccontare personaggi controversi, evitando giudizi". E a proposito delle parole di Mario Calabresi, direttore della 'Stampa' e figlio del commissario - che in un'intervista al Corriere della Sera ha raccontato il suo apprezzamento per il film, ma anche alcune perplessità legate tra l'altro all'assenza della campagna di odio di Lotta Continua contro il padre - Giordana risponde: "Mario ha perso il padre quando era molto piccolo in una maniera drammatica. A lui manca il padre e certo non può restituirglielo il mio film". Giordana rivela anche di aver conosciuto il commissario: "Ero uno studente che aveva occupato il proprio liceo, fui interrogato da lui. Era un vero intellettuale, per nulla violento. Se la ricostruzione esatta dell'interrogatorio di Pinelli non è possibile farla, perché noi non eravamo in quella stanza: di certo non si è suicidato e non è caduto dalla finestra per sbaglio. E' stato un pasticcio, ma la questura non avrebbe dovuto nascondersi dietro un cumulo di menzogne. Da quel momento ha avuto origine il veleno gettato addosso a Calabresi che ha distrutto l'innocenza di chi credeva nella democrazia". E Riccardo Tozzi di Cattleya, che ha prodotto con Rai Cinema il film, ricorda: "In un articolo che parlava di Pinelli e Calabresi c'era scritto che si rispettavano e che si scambiavano libri".

FAVINO, PIAZZA FONTANA COME 11 SETTEMBRE

di Nicoletta Tamberlich - Dopo l'attentato del 12 dicembre del 1969 alla Banca dell'Agricoltura "l'Italia ha perso la sua verginità. La strage di piazza Fontana è stata un po' il nostro 11 settembre". Ne è convinto Pierfrancesco Favino, che nel film 'Romanzo di una strage' interpreta l'anarchico Giuseppe Pinelli. La pellicola di Marco Tullio Giordana sarà in 250 sale dal 30 marzo distribuita dalla 01 e prodotta dalla Cattleya di Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini e Marco Chimenz in collaborazione con Rai Cinema.

Il film ripercorre gli avvenimenti che vanno dalla morte di Antonio Annarumma, il poliziotto ucciso durante una manifestazione, all'omicidio del commissario Luigi Calabresi il 17 maggio 1972. Fulcro è la strage di piazza Fontana. "Mi piacerebbe - fa notare Favino - che i giovani attraverso il film capissero che per gli italiani la strage di piazza Fontana ha avuto un impatto emotivo analogo a quello seguito all'11 settembre. Fino a quel momento avevano un rapporto di fiducia con i politici, credevano in maniera pura, quasi ingenua nella democrazia". La vicenda di Pinelli, insiste Favino, "mi ha particolarmente coinvolto, anche perché ho conosciuto la vedova e le figlie. Abbiamo però scelto di renderlo sullo schermo più sanguigno di quanto non fosse e senza il difetto di balbuzie, questo per evitare che Pinelli fosse visto fin dall'inizio come un agnello sacrificale, che ispirasse un sentimento di pietà".

Valerio Mastandrea, che nel film è il commissario Luigi Calabresi, dice invece di essersi preparato in maniera diversa: "Per pudore ho preferito non incontrare la famiglia. Se la strage di Piazza Fontana fosse accaduta ieri sarebbe attualissima. Oggi siamo viziati da questo silenzio, dalle impunità, dai pregiudizi. Non è un caso se si è aspettato 40 anni per fare questo film. Le cose avvenute allora non sono poi tanto diverse da quelle accadute ad esempio a Genova, durante il famigerato G8 del 2001: il meccanismo è lo stesso e uguale il risultato, l'impunità per gli autori". "In 20 anni - aggiunge - questo ruolo è stato il mio lavoro più difficile, ha messo in discussione le mie convinzioni, mi fa interrogare come uomo e come cittadino italiano". Nel film di Giordana si racconta come dopo la morte di Pinelli si siano incontrati riservatamente al Quirinale il presidente Saragat (Omero Antonutti), filo-americano, convinto atlantista, e Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), fautore di una cauta apertura alle opposizioni e allora ministro degli Esteri. Le informazioni in possesso di Moro indicano nei gruppi neonazisti veneti i responsabili della strage e la pista rossa un depistaggio messo in opera dai servizi segreti. Saragat appare scosso, si sente messo sotto accusa, protesta la sua assoluta estraneità. Sul suo personaggio Gifuni spiega: "E' un Moro inedito di 9 anni prima dei 55 giorni del rapimento. Un uomo di grande integrità interiore, ma pieno di dubbi. L'incontro con Saragat è particolarmente importante, ed è frutto dell'incrocio di varie fonti storiche, fra cui le parole testuali di Moro scritte durante la prigionia delle Brigate Rosse. Su Moro c'era una considerevole quantità di elementi su cui lavorare. Fra l'altro, i miei costumi sono stati realizzati dallo stesso sarto che ha confezionato le sue camicie".

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