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Camilleri amaro, politica tra promesse e insulti

Divario tra nord e sud spaventoso. 'La Mossa del cavallo e un romanzo duro'

Nicoletta Tamberlich

  "Non chiamatemi maestro, Leonardo Sciascia accettava di essere chiamato così perché era stato maestro di scuola, io non lo sono stato". E' un piacere leggerlo, guardarlo in televisione e ascoltarlo e riesce a far sorridere anche se le sue analisi spiazzano come un fendente al cuore. Andrea Camilleri è nella sede Rai di Viale Mazzini a Roma per presentare l'attesissimo film La mossa del cavallo - C'era una volta Vigata, con protagonista Michele Riondino e con la Regia di Gianluca Maria Tavarelli - ambientato nel 1877, tratto dal suo omonimo romanzo storico edito Sellerio (in onda lunedì 26 febbraio in prima serata su Rai1) - e non si sottrae alle domande dei cronisti.
  A chi chiede degli errori dell'Italia di oggi in vista anche del prossimo appuntamento del 4 marzo, Camilleri replica: "Preferirei non parlare della campagna elettorale perché quella a cui sto assistendo non è né campagna né città, mi sembra di essere rimbecillito per l'età, ma poi mi accorgo che quello a cui assisto è vero. Come si può chiamare questa cosa disgustosa fatta di false promesse e insulti reciproci? E' un litigio fra comari". "In Italia siamo in piena decadenza, la politica ha perso la P maiuscola. Si ingigantiscono gli errori del passato, il divario tra nord e sud è diventato spaventoso. Poi alla radio sento che a Trento si vive tre anni in più di quanto si vive nel sud. Vorrei non credere a questa notizia, perché significa che altro che errori dell'800, siamo andati a pescare anche quelli del '300 per arrivare a questo punto". Sempre sul tema nord-sud aggiunge: "Basta prendere un treno o fare l'autostrada Palermo-Messina, inaugurata una trentina di volte, dove pare sia un gentil uso inaugurare ponti che crollano dopo un mese. Succede anche al nord, ma molto meno frequentemente. Già ti cadono le braccia alla stazione di Palermo, chiedi a un ferroviere se il treno arriva e lui risponde: forse".
  A chi domanda allo scrittore se si senta ambasciatore della Sicilia dopo l'enorme successo dei suoi libri e della trasposizione televisiva risponde: "Mi fa piacere essere considerato l'ambasciatore d'un'altra Sicilia, rispetto a quella mafiosa, alla quale si è data troppa importanza. Mi sono sempre rifiutato di scrivere di mafia, tranne con il libro sui pizzini di Provenzano, di cui però ho donato i proventi, creando una fondazione per borse di studio per i figli di agenti vittime di mafia. Non volevo guadagnare una lira sulla mafia". Sono 63 i Paesi in cui il commissario è stato esportato, tranne la Cina: credo si rifiuti perché il protagonista è un funzionario disubbidiente".
Sulla Mossa del cavallo Camilleri fa un paragone con Montalbano, che soprattutto nelle ultime due puntate ha raggiunto livelli altissimi di successo negli ascolti. "Beh, io di fronte a tanto consenso provo un po' di paura. Ho detto scherzosamente che non vorrei che qualcuno venisse sotto le finestre di casa mia di notte gridando 'Montalbano santo subito!'. E quindi fa notare: "Non capisco perché abbiano così successo. Sì, ci trovo delle qualità, ma non così tante. Tanto che m'è venuto il dubbio che Montalbano sia una sorta di alibi: sì, bello, adesso andiamo a fare il 'furto' dopo averlo omaggiato".
La Mossa del cavallo è un romanzo duro, qualcuno ha scritto al contrario che i Montalbano sono testi rassicuranti, "bontà sua! - risponde -, io li trovo inquietanti". "In Sicilia, per esempio, si chiese nel 1868 se i siciliani volessero o meno far parte del Regno di Italia, questi risposero in blocco sì. Allora com'è che nel giro di meno di quarant'anni in Sicilia si proclamò per tre volte lo stato di assedio? In Sicilia giunse un esercito fucilatore? Carlo Alberto della Loggia fece un proclama: 'Non abbiate paura a uccidere i contadini. Nelle loro fattorie troverete più fucili che pane', com'è possibile allora tutto questo odio? Pensate che la Sicilia, fino all'unità d'Italia, non aveva la leva obbligatoria. Con i Borboni si andava volontariamente. Giunse la leva obbligatoria. E' una tassa sulla forza-lavoro dei contadini d'allora. Questo è stato uno degli errori più giganteschi che il governo nazionale potesse fare. Ciò nonostante quest'esercito, fatto di siciliani, piemontesi e fiorentini, costituì la prima vera Unità d'Italia. E così è cominciata l'Italia, da un primo grande errore".

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