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Gli incroci nei ballottaggi, tutto ancora possibile

Pd tra recupero e debacle; M5S si gioca tutto; testa a referendum

di Teodoro Fulgione ROMA

A Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna tutto è ancora possibile, almeno teoricamente: il Pd può conquistare quattro delle cinque città al ballottaggio del 19 giugno oppure perdere clamorosamente in tutti e cinque i grandi centri, creando più di un problema a Matteo Renzi. Ragionamento opposto per il M5S, la forza politica andata meglio al primo turno e che paradossalmente ha più da perdere nel caso di una mancata affermazione al secondo turno: nella Capitale Virginia Raggi ha un vantaggio consistente di 10 punti percentuali nei confronti di Roberto Giachetti; mentre a Torino Chiara Appendino deve sì recuperare l'11% su Piero Fassino ma può sfruttare l'effetto "traino" dei cinquestelle. Il centrodestra, invece, punta tutto su Stefano Parisi che a Milano è protagonista di un testa a testa con Peppe Sala; ma è ancora in corsa a Bologna e Napoli seppur con distacchi consistenti. Nel capoluogo partenopeo in pista, con tutti i favori del pronostico, c'è il sindaco uscente Luigi De Magistris.

In linea generale, ai ballottaggi in vantaggio netto si trovano i candidati che hanno chiuso il primo turno avanti di almeno qualche punto: M5S a Roma; Pd a Milano, Torino e Bologna; De Magistris a Napoli. Ma su queste amministrative pesa molto il voto che i politologi definiscono "anti-establishment": appartengono a questa categoria i successi dei cinquestelle e di De Magistris così come il voto di protesta raccolto dalla destra di Matteo Salvini-Giorgia Meloni o dalla sinistra di Stefano Fassina. D'altronde, le intenzioni sono chiare nelle parole del leader della Lega Nord: "Se non ci siamo al ballottaggio, voteremo chiunque tranne il Pd". La somma aritmetica delle forze anti-sistema potrebbe mettere i Dem in difficoltà soprattutto a Torino e Bologna, ma soprattutto non far dormire sonni tranquilli al premier in vista del referendum di ottobre.

Il centrosinistra, però, può fare conto sulla "affezione al voto" dei propri elettori, tradizionalmente più pronti a recarsi alle urne. C'è poi da tenere in conto anche il cosiddetto "effetto Austria", ovvero la simpatia degli indecisi nei confronti di candidati più rassicuranti: il 22 maggio scorso al ballottaggio per le presidenziali austriache gli elettori hanno ribaltato l'esito del primo turno scegliendo il moderato Alexander Van der Bellen a scapito del candidato della destra nazionalista Norbert Hofer. Ai ballottaggi una scelta rassicurante potrebbe aiutare il centrosinistra. Il Pd, però, deve anche fare attenzione a non spaccarsi al proprio interno, così come avvenne a Bologna nel 1999 quando il candidato di centrodestra Giorgio Guazzaloca ribaltò i dati del primo turno sfruttando le divisioni interne degli allora Ds. L'impresa è resa ancora più complessa dalla necessità di recuperare i voti di Fassina a sinistra (mercoledì, il leader di SI chiarirà se appoggerà o meno un candidato) e quelli di Marchini al centro.

In questa situazione è anche difficile fare calcoli sull'affluenza (in calo soprattutto al Nord). In passato un numero maggiore di votanti ha spesso favorito il centrodestra nei confronti dell'elettorato di centrosinistra. Ma l'incognita degli elettori M5S, al cui interno si trovano sia moderati che radicali, non permette di fare calcoli. La regola comune, in ogni caso, è che vince chi invade anche il terreno avversario.

La battaglia più accesa è così quella tra Sala e Parisi.

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