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Il Papa ha cambiato il volto della Chiesa, ma riforme a rilento

Sua vera sfida è ora superare immobilismi,ma preservando l'unità

di Fausto Gasparroni

A due anni dalla sua elezione, con cui ha acceso una nuova luce per la Chiesa dopo anni di grave crisi, la "luna di miele" tra papa Francesco e il popolo cattolico, e non solo quello, sembra non accennare ancora a esaurirsi. Con i suoi gesti, significativi più di molte parole, il suo esempio personale, la sua vicinanza, anche "fisica", agli esclusi e ai sofferenti, i suoi moniti contro ogni disuguaglianza e iniquità, le sue aperture anche verso chi prima si sentiva allontanato, il Pontefice argentino può dire di aver cambiato il volto della Chiesa, mobilitando un rinnovato consenso che ne fa - tra le altre cose - uno dei leader più autorevoli e ascoltati a livello globale.

La Santa Sede, con i pressanti appelli del Pontefice contro i conflitti e con un'azione diplomatica più determinata che in un recente passato, è tornata ad avere voce e ruolo nello scenario internazionale: un esempio per tutti, nell'ultimo anno, lo storico disgelo tra Stati Uniti e Cuba, a cui l'azione del Papa e dei suoi diretti collaboratori, per ammissione degli stessi Barack Obama e Raul Castro, ha dato un contributo decisivo. La Chiesa "in uscita" di Bergoglio, con il suo desiderio di "incontro" e di confronto anche con le realtà lontane e il suo voler essere punto di riferimento ideale e accogliente per le moltitudini dei disagiati, è una realtà oggi ascoltata non solo dal popolo dei credenti ma anche di tanti non credenti che non trovano più analoghi modelli etici.

Ed è una realtà che riempie persino "vuoti" creatisi nella politica, mentre tutti i leader mondiali fanno a gara per essere ricevuti in udienza da Francesco, primo Papa che quest'anno - tra le altre cose - parlerà al Congresso Usa, tenendo poi un discorso anche all'Onu. L'opera di rivolgimento dell'immagine della Chiesa, che il Papa succeduto al dimissionario Benedetto XVI ha compiuto quasi d'impatto e grazie al suo stile personale e al suo insegnamento quotidiano - tra discorsi, messaggi, prediche a Santa Marta o documenti di grande profilo come il suo manifesto programmatico 'Evangelii gaudium' -, non trova però ancora una concretizzazione nelle riforme avviate da Francesco: quella delle strutture di governo della Curia romana, la macchina amministrativa centrale della Chiesa, e quella in campo pastorale, sul tema cruciale della famiglia, attraverso il confronto collegiale da lui affidato al Sinodo dei Vescovi. Un cammino ancora incerto, accidentato, tutt'altro che facile, comunque meno spedito di quanto si prevedesse. La riforma della Curia dopo gli scandali di 'Vatileaks', il principale mandato assegnato al nuovo Papa dai cardinali riuniti nelle Congregazioni pre-Conclave, allunga i tempi.

Potrebbero volerci anche cinque anni per la revisione della 'Pastor bonus', la costituzione varata da Wojtyla. Non solo i rilievi giuridici, che hanno costretto a una significativa marcia indietro, ad esempio, nella configurazione della nuova Segreteria per l'Economia, riducendo i troppi poteri accentrati nelle mani del cardinale australiano George Pell e lasciando sostanzialmente in piedi l'Apsa che doveva essere 'svuotata' della gestione degli immobili, ma anche le resistenze interne, la nascita di nuovi fronti contrapposti, fanno rallentare il passo del "C9", il consiglio dei nove cardinali, tra cui lo stesso Pell, che non possono più pensare di portare a compimento una riforma da soli e 'a tavolino'. Per quanto riguarda il Sinodo sulla famiglia, invece, le aperture prospettate e in sostanza auspicate dallo stesso Francesco, specie su un nodo spinoso come la comunione ai divorziati risposati e su nuove forme di accoglienza nella Chiesa per le coppie omosessuali, hanno incontrato nella sessione straordinaria dello scorso ottobre il fuoco di sbarramento del fronte conservatore, sono state sostanzialmente bloccate, con un'assemblea divisa al voto finale, e in vista della decisiva sessione ordinaria del prossimo autunno rischiano l'impasse. Da una parte, l'ampio schieramento che non vuole aggiornamenti della dottrina grida addirittura all'"eresia".

Dall'altra, invece, gli episcopati più favorevoli alle aperture ormai rompono gli indugi. I vescovi tedeschi, ad esempio, hanno annunciato che faranno da soli, non sentendosi "una filiale di Roma" e asserendo che "non sarà il Sinodo a dirci cosa fare": parola del cardinale di Monaco Reinhard Marx, presidente dei vescovi di Germania, nonché stretto collaboratore del Papa come membro del "C9" e coordinatore del Consiglio per l'Economia. Di fronte a questo scenario, la vera sfida di Francesco è oggi superare gli immobilismi, riuscire quindi a dare una forma concreta alle sue riforme, ma preservando il bene dell'unità. Un compito non facile per il Papa, che comunque alla sua Curia continua a non risparmiare sferzate, come nell'impietoso discorso pre-natalizio in cui ne ha elencato le "15 malattie", dall'"impietrimento mentale", all'"alzheimer spirituale", alla "schizofrenia esistenziale". "Più delle dieci piaghe d'Egitto!", ha commentato recentemente, non senza un pizzico d'ironia, il vescovo Mario Toso, che proprio da quella Curia è in partenza per andare a guidare la diocesi di Faenza.

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