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Avetrana, orrore e colpi di scena

La scomparsa della ragazza il 26 agosto

Redazione ANSA

AVETRANA (TARANTO) - Una ragazzina bionda, esile, alta poco meno di un metro e 60, esce da casa e imbocca a passo spedito via Verdi in direzione di via Deledda, che dista poco più di 400 metri. Indossa una maglietta rosa e pantaloncini corti neri, ai piedi un paio di infradito, ha uno zainetto nero in spalla e cuffiette alle orecchie per ascoltare musica: è l'ultima immagine agli occhi dei pochi passanti di Sarah Scazzi, studentessa quindicenne di Avetrana. Sarah raggiungerà in via Deledda la villetta della cugina Sabrina Misseri, deve andare con lei al mare. Non ne uscirà più viva.

E' il 26 agosto 2010, una giornata torrida per il paese, e lo diventerà ancora di più con il passare delle ore. Sarah sparirà nel nulla, per 42 giorni si incroceranno le ipotesi e i timori: dalle voci di una fuga volontaria al rapimento, dal sequestro di persona all'idea di un maniaco sessuale che abbia voluto approfittarne. Il suo corpo nudo viene trovato il 7 ottobre, in una notte umida di autunno, in un pozzo-cisterna in contrada Mosca, nelle campagne di Avetrana.

E si scoprirà che dietro la sua morte c'è la storia di una famiglia, quella dei Misseri, cugini per parte di madre, che Sarah frequentava come una seconda casa ma dalla quale - a queste conclusioni arriveranno le indagini della Procura della Repubblica di Taranto - sarà 'tradita'. La pista dell'allontanamento volontario è la prima ad essere battuta ma dovrà essere abbandonata dopo alcuni giorni. E' la madre di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo, a mettere tutti in guardia. "La mia bambina non si sarebbe mai allontanata da casa, non ne aveva motivo. E' stata rapita" continua a ripetere quasi ossessivamente a tutti, dagli investigatori ai curiosi che ogni giorno aumentano dinanzi all'abitazione in vico II Verdi.

In poche ore nasce su Facebook un gruppo di ricerca che supera le mille adesioni; in paese si organizza una fiaccolata; Claudio Scazzi, fratello di Sarah, dalla provincia di Milano dove lavora, cerca insieme ad amici notizie della sorella attraverso il web; papà Giacomo torna anche lui dal milanese ad Avetrana per stare accanto alla moglie, ma ogni giorno che passa è un tuffo al cuore.

Giacomo e Concetta scrivono anche una lettera-appello al presidente Napolitano, chiedendo di intensificare le ricerche della loro figlia. E Napolitano, il 9 settembre, risponde. "Continuerà ad essere profuso il massimo impegno investigativo e operativo nella ricerca di Sarah". Quei 400 metri, o poco più, che Sarah quel pomeriggio avrebbe fatto a piedi, vengono ripercorsi dagli inquirenti più volte, mentre continuano le battute nelle campagne tra il Tarantino e il Salento, fra casolari diroccati e pozzi incustoditi.

Ormai, a tanti giorni di distanza dalla scomparsa di Sarah, si fanno strada due convinzioni: è difficile che sia ancora viva, e a casa Misseri, comunque, la quindicenne è arrivata. Il cerchio si stringe attorno alla villetta in via Deledda, i componenti della famiglia Misseri - Michele, sua moglie Cosima e la figlia Sabrina, e l'altra figlia Valentina che è tornata da Roma dove vive da qualche tempo - vengono ascoltati più volte dagli investigatori. Il 29 settembre zio Michele consegna ai carabinieri il cellulare mezzo bruciacchiato di Sarah.

Racconta di averlo trovato in campagna tra le stoppie che aveva bruciato la sera prima. Una messinscena. Il 6 ottobre lui e la moglie vengono convocati nella caserma del comando carabinieri di Taranto. Misseri, interrogato a lungo, confessa di aver ucciso Sarah strangolandola e fa ritrovare il corpo di Sarah.

Concetta, volto impietrito, apprende la notizia in diretta mentre partecipa alla trasmissione 'Chi l'ha visto?' proprio da casa Misseri. A distanza di otto mesi, la verità investigativa che emergerà sarà un'altra: l'avrebbero uccisa Sabrina e Cosima, dopo l'ennesima lite tra Sabrina e Sarah invaghite entrambe di un amico comune, Ivano. Michele avrebbe provveduto a sopprimere il cadavere, aiutato da un fratello e un nipote. Di Sarah, ora, resta quel volto sorridente che campeggia all'ingresso del cimitero di Avetrana, sulla tomba che papà Giacomo ha costruito mattone su mattone, lacrima su lacrima.

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