(di Eloisa Gallinaro)
(ANSA) - FIESOLE, 10 APR - Il trionfo elettorale di Viktor
Orban nel nome della difesa dell'Ungheria dall''invasione' dei
migranti musulmani è un altro tassello nella disgregazione di
quell'Europa che non ha mai superato gli egoismi nazionali ma,
fino a tempi recenti, aveva almeno trovato spunti di compromesso
su valori e strategie condivisi. "Rinchiudersi all'interno di
una qualche fortezza nazionale, regionale o locale non
funzionerà" e non solo per ciò che riguarda l'immigrazione,
osserva Renaud Dehousse, presidente dell'Istituto Universitario
Europeo (Eui), spiegando le ragioni della scelta della
"Solidarietà in Europa" come tema dell'edizione di The State of
the Union 2018, che si terrà dal 10 al 12 maggio tra Firenze e
Fiesole.
"I problemi non si dividono come fette di torta - aggiunge
Dehousse - vanno affrontati insieme, così ci si accorge che un
Paese come l'Italia che chiede solidarietà agli altri
sull'immigrazione contribuisce allo sviluppo economico di tante
regioni dell'est europeo. La solidarietà ha un senso in un campo
solo se viene ricambiata. E questa si chiama politica.
Altrimenti è chiaro che l'Europa non ha futuro".
D'altra parte, sottolinea Vincenzo Grassi, segretario
generale dell'Eui, le sfide "interne ed esterne" con le quali si
confronta l'Ue non consentono di intendere la solidarietà
"esclusivamente nei termini un po' meccanici della vecchia
politica di coesione per cui si trasferiscono risorse
essenzialmente finanziarie dalle aree più ricche a quelle più
povere. La solidarietà si gioca anche sul piano della
condivisione di rischi e responsabilità e sicuramente la
questione della politica di sicurezza e difesa rientra in questa
concezione allargata". Soprattutto alla luce della posizione
statunitense che chiede all'Ue una maggiore assunzione di
responsabilità, a una Russia sempre più presente sui teatri di
crisi, a un quadro di instabilità ai confini dell'Unione che va
dal Nord Africa al Medio Oriente. "In questa prospettiva -
esemplifica Grassi - bisogna che i Paesi baltici capiscano che
c'e' un problema di sicurezza nel Mediterraneo e che i Paesi del
Mediterraneo capiscano che c'è un problema di assertività russa,
in generale ma particolarmente avvertito in alcuni Paesi
dell'area limitrofa".
Ed è nel campo minato che divide la vecchia Europa dai falchi
di Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca ma anche
dell'Austria di Sebastian Kurz che si gioca non solo la partita
della sicurezza e di una politica estera strettamente connessa
ai fenomeni migratori, ma anche quella della futura identità
dell'Europa, con una variabile negativa che fino al mese scorso
nessuno avrebbe preso seriamente in considerazione: l'Italia.
"Bisogna vedere quale sarà il nuovo governo - ragiona Andrew
Geddes, direttore del Centro per le politiche migratorie
dell'Eui - ma c'è la possibilità che l'Italia si avvicini alle
politiche del gruppo di Visegrad", blocco granitico contrario
alle politiche dell'accoglienza e ai progetti di una maggiore
integrazione. Secondo Geddes, che comunque esclude una modifica
della Convenzione di Dublino, "la possibilità di una politica
comune europea c'è, ma nel senso spiegato da Kurz: dimenticare
la solidarietà all'interno dell'Ue e concentrarsi sulle
frontiere esterne" anche attraverso accordi con i Paesi di
provenienza dei migranti, soprattutto africani, per gestire i
flussi e/o rispedirli al mittente". Gli stupri e le violenze
contro in Libia ne sono "un terribile esempio di cui, in un
certo senso, l'Europa è responsabile".
(ANSA).