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Lite Grillo-Renzi sulla legge elettorale. Poi dieci sì al Pd

Salta l'incontro tra i due partiti. Grillo all'attacco.

Botta, risposta, rottura, retromarcia. Il campionario è vario e completo e tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle si è passate in poche ore, dopo il mancato incontro tra le due forze politiche, dall'abisso a una possibile schiarita. "Stiamo scivolando lentamente verso una dittatura a norma di legge, il M5S non resterà a guardare e spera che i sinceri democratici che esistono negli altri partiti facciano altrettanto", ha detto Beppe Grillo all'apice della crisi.  

Subito è arrivata la replica di Matteo Renzi: "Io sono un ebetino, dice Beppe, ma almeno voi avete capito quali sono gli 8 punti su cui #M5S è pronto a votare con noi? #pochechiacchiere". "Non è uno scherzo, sono le regole! Chiediamo un documento scritto per sapere se nel M5S prevale chi vuole costruire o solo chi urla". In serata il colpo di scena: dai 5 stelle arriva, sia pure con alcune condizioni sulla legge elettorale (ballottaggio con premio basso) e sulle riforme, il sì al decalogo sottopostogli dal presidente del Consiglio e dal Pd come punto di partenza per avviare una trattativa. E così (forse) si riparte.  

"Se c'è una risposta dal M5s alle 10 domande da noi poste, in maniera pubblica come noi in maniera pubblica le abbiamo poste, c'è assolutamente la disponibilità a sedersi al tavolo e riprendere il cammino del confronto, che faticosamente abbiamo iniziato e che oggi ha avuto una battuta d'arresto, ma che credo debba e possa proseguire", dice Lorenzo Guerini al Gr1 (poco prima della risposta giunta da M5s ai 10 punti Pd).

La volata delle riforme
L'appuntamento è per lunedì alle 8,30 quando la commissione Affari costituzionali del Senato voterà gli emendamenti sui punti delicati delle riforme, fino ad oggi accantonati. E le aspettative del governo e del premier Renzi su queste votazioni sono positive: ci si attende infatti che grazie all'intesa tra maggioranza, Fi e Lega, venga approvato il Senato non elettivo e tutti gli altri punti concordati. 

Non a caso Renzi decide di non intervenire alla riunione serale dei senatori del Pd proprio per non riaprire la discussione interna su decisioni per lui ormai assodate. E dopo l'ennesimo duro scontro con Beppe Grillo e la nuova rottura con M5s, che alla fine cerca di ricomporre la partita dando l'ok al decalogo del premier e del Pd, l'asse con Fi sembra rinsaldarsi anche sull'Italicum.

Il monito di Napolitano
Intanto, a sorpresa, interviene il Capo dello Stato con un appello a non perdere tempo: "Senza entrare nel merito di opzioni ancora aperte, e' parte della mia responsabilita' auspicare una conclusione costruttiva, evitando ulteriori spostamenti in avanti dei tempi di un confronto che non puo' scivolare, come troppe volte accaduto,nell'inconcludenza" su riforme "piu' che mai mature e vitali",dice auspicando "una riforma volta a superare il bicameralismo paritario" che a suo avviso "si e' fatta sempre piu' urgente per le sue ricadute negative sul processo di formazione e approvazione delle leggi".

Alta tensione tra i gruppi
Tra gli azzurri il dibattito è ancora vivace: da una parte c'è il capogruppo alla Camera Renato Brunetta che rilancia il Senato elettivo, dall'altra Ignazio Abrignani e Daniela Santanché invitano a mantenere il patto. Il capofila dei dissidenti, Augusto Minzolini, ha detto che essi in Senato sono "almeno dieci": un numero ininfluente (il gruppo ha 59 senatori) per ribaltare l'esito dell'Aula, anche se si saldasse con i 16 dissidenti del Pd.

Qui Renzi non avrà problemi, perché i numeri sono blindati. Ma anche in Aula, dove il ddl arriverà giovedì 10 luglio, il governo non teme scivoloni perché il patto con Fi e Lega dovrebbe neutralizzare la pattuglia dei dissidenti Dem. All'interno del Pd la grana ancora aperta è la legge elettorale, dove i bersaniani insistono sulle preferenze, come d'altra parte Ncd, che chiede anche di abbassare la soglia di sbarramento. Su questo secondo aspetto non dovrebbero esserci problemi, mentre sulle preferenze Fi non intende cedere, forte della parola mantenuta sulla riforma del Senato.

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