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Greta e Vanessa tornano libere ma dibattito sul riscatto divide

Cinque mesi difficili ma nessuna violenza

Redazione ANSA

La prima notte di sonno nel proprio letto dopo mesi di segregazione, paura, sofferenza, anche se hanno spiegato di non essere state maltrattate. Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le cooperanti rapite e poi liberate in Siria, sono finalmente a casa. La prima a Gavirate, nel Varesotto, la seconda a Verdello, nel Bergamasco, dove sono giunte dopo il loro ritorno a Roma e la deposizione ai pm di Roma e ai carabinieri del Ros davanti ai quali hanno ricostruito la loro drammatica vicenda. Per entrambe analoga, felice conclusione, con il ritorno alle loro famiglie ma riflessioni apparentemente diverse sull'incubo in cui erano piombate.

Greta, che tra le due era apparsa, dopo l'arrivo in Italia, la più provata, una volta a Gavirate ha chiesto scusa a tutti: "non volevo provocare dolore", ha detto, aggiungendo di essere "felice" per il ritorno nella propria casa, al cui balcone insieme al fratello ha appeso un tricolore. "Per ora non voglio tornare in Siria - ha detto - perché la situazione laggiù è insostenibile". Ed è per questo, però, che "bisogna continuare comunque ad aiutarli".

Anche Vanessa è ovviamente felice di essere tornata a casa, dove ha trovato le cuginette che prima del suo arrivo avevano appeso alla ringhiera dell'abitazione dei palloncini e uno striscione, in inglese, con il quale hanno voluto dire che valeva la pena aspettare per poter rivedere il suo sorriso. Vanessa, per quanto stanca, ha voluto ringraziare con un filo di voce "tutti coloro che hanno lavorato per il nostro rilascio e che hanno pregato per noi". Con un distinguo, però, rispetto all'amica, del quale si fa interprete il padre Salvatore. La ragazza bergamasca, infatti, sembra non aver rinnegato nulla e non aver chiesto scusa, quando ha rivisto i familiari: "Non ci ha chiesto scusa, perché non c'era nulla per cui chiedere scusa. Nonostante la stanchezza l'ho trovata bene". "Ha fatto una cosa pericolosa, ma non sbagliata", ha completato il ragionamento il padre. Poi ha spiegato che nei prossimi giorni cercherà di preservare la tranquillità di Vanessa. Tornerà in Siria? "Non è il momento per decidere &ndash ha risposto il padre della cooperante -, ci penserà e deciderà quando sarà meno stanca e più serena". Vanessa ha comunque avuto la forza di affacciarsi alla porta di casa, fare un cenno di saluto con la mano e un tirato, stanco sorriso. La sua quotidianità comincerà con una "normale cena" nella famiglia finalmente ricomposta, dopo lunghi mesi in cui si sono succeduti la paura, poi la speranza e infine il sollievo e la felicità. 

Il padre di Vanessa

 Papà Salvatore cercherà di tenere la figlia lontana dalle polemiche che, comunque, continuano ad infuriare sull'opportunità della missione delle due cooperanti e sul presunto pagamento del riscatto, di fatto smentito dalle autorità italiane. "Goditi tua figlia e taci", è intervenuto nello stile che ormai gli è consueto il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini che definisce "una schifezza" il pagamento del riscatto, se fosse realmente accaduto. Ha ribattuto il deputato del Pd Edoardo Patriarca: "E' inaccettabile il tiro al piccione che esponenti di Forza Italia e della Lega stanno facendo nei confronti della cooperazione internazionale". "La destra sta mettendo Greta e Vanessa sul banco degli accusati, facendo così un torto alla cooperazione internazionale - ha sottolineato -. Ricordiamoci che la credibilità dell'Italia nel mondo è assicurata anche da tanti operatori che vanno nei teatri di crisi o nei Paesi sconvolti da catastrofi umanitarie". Vanessa è attesa anche al pub accanto alla trattoria del padre che, in questi ultimi due giorni, è diventato il quartier generale dove si sono riuniti gli amici in attesa di notizie più dettagliate dopo la conferma della liberazione. Qui la difendono a spada tratta: "Ma come, ci si lamenta che noi giovani siamo menefreghisti - è il pensiero dominante -, che non ce ne frega niente di nessuno e poi si sparano bordate contro due ragazze che volevano solo aiutare gli altri?".

 Il rientro di Greta e Vanessa (FOTO)




La felicità delle famiglie a casa in Lombardia

Greta e Vanessa:in informativa Ros contatti con'rete'
(di Tommaso Romanin) - Da un'informativa del Ros, con conversazioni intercettate prima della partenza di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, emergono i contatti tra le due cooperanti liberate e una 'rete' di siriani che abitano in provincia di Bologna. Persone alle quali le ragazze si rivolsero prima del loro viaggio e che hanno attirato l'attenzione degli investigatori. Dalla documentazione, di cui ha dato notizia Il Fatto Quotidiano, si ricava che Greta e Vanessa erano partite anche con l'intenzione di distribuire 'kit' di salvataggio destinati ai combattenti anti-Assad e "offrire supporto al Free Syrian Army". Una di queste telefonate riguarda una conversazione di Greta con Mohammed Yasser Nayeb, pizzaiolo di Anzola Emilia, comune tra Bologna e Modena. Una persona che, secondo le indagini, potrebbe aver aiutato le due in buona fede e che è in contatto con altri connazionali.

Raggiunto dall'ANSA, è lui stesso però a spiegare le circostanza: Greta lo chiamò in quanto presidente della comunità siriana in Emilia-Romagna, "così come ci chiamano tanti volontari per chiedere consigli, aiuti e partecipazione ai loro progetti". Ma Nayeb non fornì loro nessun aggancio in patria: "I contatti li avevano già, non li hanno chiesti a noi. Non volevano nessuna interferenza nella loro missione. Mi hanno detto che sapevano tutto quello che dovevano fare in Siria, punto per punto. Gli interessava solo l'associazione qui, sul territorio italiano". Chiesero infatti di poter mettere il logo dell'associazione sui manifesti della loro campagna di raccolta fondi, poi, in vista della partenza, fu semplicemente scritta "una lettera di raccomandazione generica in lingua araba in cui specificavamo che si trattava di due cooperanti italiane". Un'altra persona citata nell'informativa è Nabil Al Mureden, chirurgo di Budrio in pensione, presidente nazionale della Comunità araba siriana in Italia. E' Amedeo Ricucci, il giornalista Rai rapito per 11 giorni in Siria nel 2013 con altri colleghi, a tracciarne il ritratto: "Benestante, medico e amico di Gianni Morandi, con il quale corre anche le maratone, persona gaudente dai modi raffinati con cui ho mangiato e bevuto e che veste abiti firmati: insomma, non ha nulla del fondamentalista islamico". E anche Maher, il terzo siriano 'bolognese' di cui tratta il Ros, per Ricucci "è un bravissimo ragazzo, è stato mio interprete in Siria ed è stato rapito con me, picchiato e poi liberato". La sua famiglia è impegnata con il Free Syrian Army, appunto, "prodotto della rivolta siriana contro il regime di Assad e combatte l'Isis in una guerra in cui il Free Syrian Army conta molti morti".

In ogni caso, sulle frequentazioni di questi tre e altri siriani in Italia il Ros aveva attivato la propria attenzione ed evidentemente stava già vagliando i contatti delle cooperanti, prima della loro partenza. Da parte degli inquirenti bolognesi comunque non risultano fascicoli di indagine su una 'rete' nel territorio: "Roma non ci ha comunicato nulla. Non abbiamo indagini aperte sulla vicenda", ha confermato il procuratore capo Roberto Alfonso.

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