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Un voto per decidere la Brexit, elezioni il 12 dicembre

Via libera del Labour. Johnson favorito, Corbyn prova a sfidarlo

Sarà un voto prima di Natale, a patto che lo stallo non si riproduca anche nelle urne, a decidere della Brexit e del futuro del Regno Unito nei prossimi anni. Le elezioni anticipate invocate a gran voce dal governo Tory di Boris Johnson, dopo l'ultimo rinvio a Westminster dell'accordo di divorzio raggiunto a Bruxelles - e la nuova proroga di tre mesi dell'uscita dall'Ue obtorto collo incassata dai 27, oltre la scadenza del 31 ottobre a dispetto di tante promesse - hanno finalmente ricevuto il via libera anche delle opposizioni. Incluso il Labour di Jeremy Corbyn. Si andrà alle urne il 12 dicembre, secondo la modifica legislativa ordinaria messa ai voti ai Comuni e approvata in serata con 438 sì e 20 no.

Legge cui sarebbe bastata una maggioranza semplice, ma passata in ultimo a valanga grazie alla fine dell'ostruzionismo dei vari partiti d'opposizione, entrati ormai in competizione fra loro, oltre che con i conservatori: dapprima con lo spiraglio aperto nel week end a sorpresa dagli indipendentisti e dai liberaldemocratici, i due partiti pro Remain più radicali; poi col sì del governo ombra laburista, bellicoso quanto sofferto. L'ultima zuffa parlamentare ha riguardato gli emendamenti messi in cantiere soprattutto da alcuni deputati delle retrovie del Labour, in parte contrarie al voto immediato (e sotto la leadership di Corbyn): in particolare quelli sul possibile allargamento della platea elettorale ai giovani britannici di 16 e 17 anni e/o ai circa 3 milioni di cittadini Ue già residenti nel Regno. Innovazioni sgradite al governo, e in grado sulla carta di penalizzare la parrocchia Tory, che tuttavia sono state respinte dal vice speaker Lindsay Hoyle, subentrato in una fase del dibattito all'ormai dimissionario speaker John Bercow, poiché inammissibili anche in relazione alle raccomandazioni della Commissione Elettorale britannica a non modificare le regole del gioco entro 6 mesi prima del voto.

L'unico vero braccio di ferro dello sprint finale si è così concentrato sulla bandierina della data: il governo ha insistito per il 12 dicembre, l'opposizione ha controproposto il 9 ma il suo emendamento è stato bocciato. Cambia poco. La vera sfida è adesso quella della campagna elettorale. Una sfida che parte coi favori dei sondaggi tutti per Boris Johnson, oggi battagliero a Westminster e pronto a rigettare ancora una volta "sull'ostinato ostruzionismo" del Parlamento e sul rifiuto delle opposizioni di "accettare il risultato" del referendum del 2016 il mancato rispetto del suo proprio impegno di far uscire il Regno dall'Ue il 31 ottobre come questione "di vita o di morte". E deciso a invocare ora il giudizio del popolo sullo slogan 'Get Brexit done'. L'ultima rilevazione YouGov lo incoraggia, dando il suo partito conservatore al 36%, con ben 13 punti di vantaggio sul 23% assegnato ai laburisti. I liberaldemocratici di Jo Swinson si attestano invece al 18 e i concorrenti del Brexit Party di Nigel Farage al 12. Mentre in termini di popolarità personale, Johnson è indicato come primo ministro preferito addirittura da un 43% d'intervistati, con Corbyn secondo ma lontano al 20%. Sky News nota peraltro come sondaggi simili dominassero la scena anche prima delle elezioni del 2017, salvo essere smentiti dai voti veri.

Il problema di Boris sarà comunque soprattutto quello di riuscire a portare a casa una maggioranza assoluta di seggi, per garantirsi la permanenza a Downing Street, se vorrà davvero realizzare la 'sua' Brexit a urne chiuse: impresa non scontata. Dal fronte avverso, Corbyn cerca di ritrovare un po' dello spirito da comizio del 2017, sparando a zero contro le politiche "sconsiderate" di BoJo e provando ad andare oltre una Brexit che divide il suo partito con la promessa d'un programma di sinistra di cambiamento radicale "mai visto" dai britannici sul piano economico e della giustizia sociale. Le opposizioni, miracoli a parte, dovranno però puntare al massimo su un Hung Parliament. Un Parlamento frammentato in cui cercare di mettere insieme una coalizione anti-Boris in grado, magari, di giocare la carta del referendum bis: sull'addio all'Ue ma pure sulla secessione della Scozia, se l'ipotetica alleanza multicolore dovesse aver bisogno dell'appoggio degli indipendentisti scozzesi dell'Snp.

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