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Brexit: Cameron, mi dispiace, ho fallito

Nel corso di un'intervista al Times

     David Cameron chiede scusa al Paese e si dice "profondamente dispiaciuto" per le divisioni provocate dalla Brexit, e pure difendendo la sua decisione di tenere il referendum, ammette "ho fallito": l'ex premier britannico confessa nel corso di un'intervista pubblicata oggi dal Times - di cui ieri era stata data un'anticipazione - che le conseguenze di quel voto sono nei suoi pensieri "ogni singolo giorno" e di essere "disperatamente" preoccupato su ciò che accadrà in futuro.
    Cameron, che dimise dall'incarico la mattina successiva al referendum del 23 giugno 2016, ha parlato al Times per promuovere il suo libro di memorie, di prossima pubblicazione.
       Nell'intervista Cameron attacca i vecchi amici e compagni di gioventù che nel 2016 lo 'tradirono', passando dall'altra parte della barricata nella battaglia del referendum sulla Brexit. In particolare, cita Boris Johnson e Michael Gove - oggi rispettivamente primo ministro e ministro addetto ai preparativi di un'ipotetica Brexit no deal - ai quali contesta di essersi comportati "in modo orribile" nella campagna referendaria "facendo a pezzi il governo di cui erano parte". In quella sfida "Boris e Michael lasciarono a casa la verità", accusa Cameron, rimproverando loro d'aver cavalcato esagerazioni e bugie sull'immigrazione come su un fantomatico ingresso futuro della Turchia nell'Ue. Non senza aggiungere di esserne stato "enormemente abbattuto", con conseguenze durature anche sui rapporti d'amicizia personale.
    La loro fu una campagna "più eccitante" ed "emotiva", ma quella pro Remain era più solida dal punto di vista "tecnico ed economico", prosegue l'ex inquilino di Downing Street. Che quanto all'oggi augura comunque "successo" a Johnson, ma non manca di criticarne le scelte più controverse: dalla sospensione del Parlamento all'espulsione dalle file Tory dei 21 dissidenti moderati di spicco dissociatisi da lui sulla Brexit.

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