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Ue rischia paralisi tra incertezze e divisioni

Merkel rassicura, ma a Bruxelles si spera marcia indietro Londra

(di Lucia Sali)

L'onda lunga della Brexit è appena partita e già la debolezza di Bruxelles sta rischiando di farsi paralisi, con passi indietro e rinvii, dagli accordi commerciali come quello con il Canada alle decisioni sui conti di Spagna e Portogallo, sino alla delicatissima partita delle banche italiane. Anche se ufficialmente "la Commissione Ue è concentrata sul lavoro, dai migranti agli investimenti", nei corridoi di palazzo Berlaymont, nonostante le secche smentite su un presunto 'complotto anti Jean-Claude Juncker' ordito dalla Germania ma non solo, si cammina in punta di piedi. "Non è 'business as usual'", ammette una fonte, "tutto è paralizzato, si continua a lavorare sui dossier ma senza sapere dove si sta andando, e nessuno ha un'idea di come gestire l'uscita della Gran Bretagna" da un sistema complesso che va dai target climatici ai fondi regionali, dal bilancio Ue ai gasdotti nel Mare del Nord. "Tutto dovrà essere negoziato, se e quando Londra attiverà l'articolo 50", quello sull'uscita dall'Ue. Perché il sogno inconfessabile ai piani alti, nonostante la retorica del "fuori è fuori", è una marcia indietro della Gran Bretagna. Schiacciata dalla sterlina a picco, con previsioni di recessione, servizi finanziari e società a rischio trasloco a vantaggio di Francoforte (come Deutsche Boerse-Lse) e Lussemburgo, oltre al rischio implosione interna con Scozia e Irlanda del Nord, Londra, con la leadership politica azzerata da David Cameron a Nigel Farage, è in difficoltà. Il pugno duro dell'esecutivo Ue sulle dimissioni del commissario britannico ai servizi finanziari Jonathan Hill e le pressioni per attivare subito l'articolo 50 intendono mettere ancor più Londra con le spalle al muro. Per un negoziato d'uscita alle condizioni di Bruxelles, dove Cameron pensa ora di mandare il diplomatico Sir Julian King per un ruolo di secondo piano al posto di Hill. O di un rientro senza condizioni all'ovile Ue, che invierebbe un segnale forte agli altri Paesi con spinte centrifughe, in particolare ad est. Scenari in ogni caso lontani, perché "ora non abbiamo un interlocutore a Londra", spiega un'altra fonte. La verità è che anche Londra rischia di non sapere chi chiamare a Bruxelles: come sanno in molti e da tempo non c'è grande sintonia di vedute tra il presidente della Commissione Juncker e quello del Consiglio europeo, Donald Tusk. Il giorno della Brexit Tusk ha rubato la scena a Juncker. E questi, dopo il vertice Ue, ha incontrato la first minister scozzese Nicola Sturgeon. Alle insistenti voci sulle dimissioni di Juncker dietro cui ci sarebbe Berlino, a Bruxelles oppongono l'evidenza che, in un momento come questo, le dimissioni in blocco della Commissione non farebbero altro che aggiungere destabilizzazione politica. E nessuno lo vuole, in primis la cancelliera Merkel.
    Che cerca di rassicurare i suoi e che ha bisogno di Juncker per risolvere la crisi dei migranti, sui quali si gioca il governo. E le uscite del ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble continuano a suscitare perplessità. L'ipotesi di un ritorno ad un'Europa intergovernativa viene prudentemente letta come una sorta di 'ballon d'essai', ma sottolinea le divisioni all' interno della leadership tedesca, tra Cdu, Csu, i popolari, e i social-democratici dell'Spd. La partita potrebbe diventare incandescente a fine anno, al rinnovo delle cariche del presidente del Parlamento e del Consiglio Ue. Senza contare la preoccupazione che aleggia per l'Italia, dalla tenuta delle banche a quella del governo, su cui Bruxelles sembra contare più di prima in assenza di una leadership forte in Francia. (ANSA).
   

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