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Ungheria: morto Bela Biszku, represse rivolta '56

Braccio destro del regime di Kadar grazie alla sua durezza

 Janos Kadar, leader comunista e poi premier ungherese, lo aveva scelto come braccio destro proprio per la sua durezza. E Bela Biszku era l'ultimo dei comunisti ungheresi della linea di ferro ancora in vita. Si è spento ieri sera, all'età di 94 anni, in ospedale. Kadar, capo del partito comunista ungherese per 25 anni, gli affidò il dicastero dell'Interno nel 1957, e fu lui a dirigere la sanguinosa repressione della rivolta ungherese. Biszku è stato però anche l'unico dirigente dell'epoca ad essere sottoposto a un processo, proprio per il ruolo nelle rappresaglie governative alla rivoluzione, soffocata nel sangue dai carri armati sovietici.
    Nato in un piccolo villaggio, apprendista fabbro a Budapest, Biszku si era formato nel sindacato dei metallurgici. Era fra i pochi che parteciparono alla lotta armata contro i nazisti, nel 1944. Ma mosse le armi anche dieci anni dopo, contro i concittadini che lottavano per la libertà del Paese.
    Biszku, numero due del partito, faceva capo all'ala dura del comunismo ungherese, ed era contrario ad ogni riforma economica.
    Denunciò piu volte, negli anni successivi alla rivolta, anche Kadar e i riformisti a Mosca: ne attaccò la linea "corrotta", a suo modo di vedere. Fu invece proprio lui a cadere: i dirigenti sovietici si fidavano più di Kadar, e Biszku, nel 1978, fu mandato in pensione prima del tempo. Per lui, il 1956 è sempre stata una "controrivoluzione", e Biszku rimase fedele della "dittatura del proletariato" nella versione rigorista originaria, fino all'ultimo.
    Lo ribadì anche nel corso di una intervista televisiva rilasciata nel 2010. Il partito di estrema destra Jobbik avrebbe voluto citarlo davanti alla giustizia per questo: nei termini di una legge che vieta i segni totalitari (stella rossa, svastica) e la negazione delle malefatte dell'era comunista, Biszku aveva commesso un reato.
    Fu finalmente processato nel 2014, con l'accusa di aver dato l'ordine di sparare contro i manifestanti nel 1957, provocando la morte di 49 persone. Negò qualsiasi coinvolgimento, ma fu condannato a cinque anni e sei mesi di carcere per crimini di guerra ed altri reati (era in possesso di proiettili, trovati in un armadio, senza permesso). I veri reati, quelli di 60 anni fa, caddero in prescrizione: mancavano testimoni diretti. Le vicissitudini giudiziarie non finirono: la sentenza fu in seguito dichiarata nulla per asserite lacune giuridiche, e fu ordinato un altro processo, nel quale non si è mai arrivati ad un verdetto definitivo. Una circostanza che ha sempre indignato gli anticomunisti ungheresi. (ANSA).
   

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