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India, annullato ergastolo ai 2 italiani Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni

Rientreranno a breve, forse già nel weekend. Erano accusati della morte di un compagno di viaggio

Meno di 20 parole recitate in fretta e con voce sommessa dalla giudice della Corte Suprema indiana R.Banumathi sono state come un terremoto oggi nella vita di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, che dall'incubo di una detenzione a vita in un carcere di Varanasi si sono ritrovati liberi cittadini. C'era grande attesa per l'esito del ricorso fortemente voluto dai familiari dei due detenuti, consapevoli che si trattava dell'ultimo strumento a disposizione prima di gettare la spugna in una battaglia durata cinque lunghi anni. Per questo, nell'aula n.12 del massimo tribunale indiano, non era voluto mancare l'ambasciatore d'Italia in India, Daniele Mancini. E praticamente subito, all'inizio della seduta, il magistrato ha letto una brevissima comunicazione riferita al caso di Bruno e della Boncompagni: "La sentenza dell'Alta Corte (di Allahabad) è messa da parte. Gli autori dell'appello siano subito rimessi in libertà".

Erano passate da poco le 6 in Italia quando Marina Maurizio, madre di Tomaso, ha ricevuto la telefonata di Mancini che le annunciava l'accoglimento totale del ricorso e l'inizio immediato delle pratiche di scarcerazione. Più o meno nello stesso momento, a fine mattinata indiana, il direttore del carcere di Varanasi, Ashish Tiwari, convocava i due italiani per comunicare la notizia della scarcerazione. Suscitando in loro sorpresa e incredulità, al punto che la prima reazione di Tomaso è stata: "Che cos'è, uno scherzo?". Ovviamente la notizia è rimbalzata immediatamente sui media italiani, accompagnata dalla gioia dei familiari - i genitori di Tomaso, Auro Bruno e Marina Maurizio, e quelli di Elisabetta, Romano e Leda Boncompagni - e dalla soddisfazione sia della Farnesina sia del ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Il ministero degli Esteri italiano ricordava in particolare di aver "seguito negli anni con grande attenzione la vicenda, mantenendo un costante rapporto di collaborazione e dialogo con le autorità indiane e con le famiglie dei due connazionali". Ai rallegramenti si è subito unita via Facebook anche Paola Moschetti, la compagna di Massimiliano Latorre, il Fuciliere di Marina in convalescenza in Italia fino al prossimo aprile. Una gioia però a cui non si è associata la famiglia di Francesco Montis, il compagno di viaggio dei due che ha perso la vita il 3 febbraio 2010 a Varanasi. La sorella prima e poi la madre hanno denunciato che i loro interessi e quelli del congiunto deceduto non sono stati tutelati dal governo italiano. "Sono senza parole - ha detto all'ANSA Rita Concas, la madre di Francesco - perché non dovevano farli uscire. E' come se avessero ucciso di nuovo mio figlio".

La sentenza della Corte viene considerata comunque un risultato fortemente voluto, anche se quasi insperato. Ottenuto a cinque anni di distanza da quel tragico 3 febbraio 2010, quando nella stanza di una guest-house di Varanasi, sulle rive del Gange, Montis mostrava gravi segni di malessere e arrivava praticamente morto in ospedale. Intervenuta nella vicenda, la polizia indiana arrestava i due italiani, incriminandoli di omicidio intenzionale ipotizzando uno "scenario passionale" e uno strangolamento, a seguito dei risultati di un'autopsia realizzata da un medico oculista e rivelatasi nel tempo chiaramente poco ortodossa e lacunosa. Adesso a New Delhi è cominciato il conto alla rovescia per l'uscita dei due dal carcere di Varanasi. Dopo gli entusiasmi della prima ora da parte dei legali indiani che speravano di ottenerla in 24 ore, si studia nei dettagli l'iter burocratico che prevede, come prima tappa, la pubblicazione dell'ordinanza, che non sarà disponibile prima di domani. La stessa, debitamente certificata, dovrà essere spedita (per posta) al direttore del carcere. Fonti diplomatiche italiane hanno detto all'ANSA di essere al lavoro per rendere più rapida la comunicazione, che altrimenti rischia di rallentare tutta la procedura. Una volta ricevuta l'ordinanza, il responsabile della prigione ha 24 ore per rilasciare gli italiani, che saranno presi in carico da un diplomatico italiano e avviati il più presto possibile in Italia. Tutto questo, si ipotizza, potrebbe richiedere fra tre e sei giorni di tempo.

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