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Dbrs conferma il rating BBB per l'Italia, trend stabile

'Improbabile che il governo resti in carica fino al 2023'

Il debito italiano torna a scendere per il secondo mese consecutivo, a fronte di un calo della liquidità nella cassa del Tesoro. Ma l'inflazione è ai minimi di tre anni e lo spread resta vicino ai massimi di tre mesi, pur rientrando dalla fiammata di ieri: segno che l'approssimarsi di fine anno e i segnali d'instabilità politica tengono gli investitori sul chi va là. Dbrs, confermando il rating BBB (high) per l'Italia con trend stabile, osserva come "l'incertezza politica resta una preoccupazione e pesa sul rating". Secondo l'agenzia di rating è "improbabile che l'attuale governo serva l'intero mandato fino al 2023, ma le elezioni del presidente della repubblica nel 2022 e la forza della Lega ai sondaggi potrebbero rappresentare due importanti disincentivi" per i partiti al governo, aggiunge l'agenzia costatando i progressi compiuti dalle banche italiane nonostante un'economia stagnate. Il debito pubblico "molto alto rende l'Italia vulnerabile a shock" precisa l'agenzia, valutando "positivamente" l'impegno del governo ad andare avanti con il risanamento dei conti e la riduzione del cuneo fiscale che, anche se modesta, può rappresentare un primo passo verso una riforma più ampia delle tasse. A certificare il calo del debito pubblico a 2,439,2 miliardi di euro a settembre è Bankitalia. Si tratta 23,5 miliardi in meno rispetto al mese precedente quando già era sceso di un paio di miliardi.

Un dato dovuto alla riduzione del saldo di Tesoreria, le disponibilità liquide del Tesoro, per 43,7 miliardi, e dunque un effetto più contabile che legato a svolte di bilancio: il fabbisogno, sempre a settembre, è stato pari a 22,6 miliardi e le entrate si sono mantenute in linea con settembre 2018 a 28 miliardi (305,2 miliardi nei primi nove mesi dell'anno). Ma è pur sempre un dato che pone fine ai record storici di debito inanellati - quasi senza soluzione di continuità - da fine 2018 fino al massimo storico dello scorso luglio, a 2.466 miliardi di euro. Un numero che, nel contesto economico di un'Italia a crescita quasi piatta (0,1% nel terzo trimestre) e con il precedente esecutivo nel mirino dei mercati per le posizioni anti-euro della Lega, aveva contribuito a soffiare sul fuoco dello spread. Oggi il differenziale viaggia a quota 160 e solo in chiusura si ferma a 156 punti, dopo aver sfiorato 168 ieri: molto meno dei picchi di oltre 300 durante il governo giallo-verde, ma pur sempre sui massimi visti durante il governo 'Conte bis'.

Sui mercati non mancano i motivi: con l'avvicinarsi della fine d'anno, sono in molti gli investitori che hanno deciso di mettere al sicuro i guadagni realizzati grazie alla corsa dei Btp - alimentata dall'ultimo pacchetto-Draghi e dal nuovo governo un po' più europeista del precedente - degli ultimi mesi. E una buona scusa per uscire dalle posizioni in Btp l'hanno offerta i segnali di instabilità politica legati alle elezioni regionali o alle divisioni sul caso ArcelorMittal: l'ipotesi di voto anticipato spaventa gli investitori, memori delle incertezze sulla collocazione europea dell'Italia che albergano nella Lega, che è ovunque data per forza elettorale vincente dalle urne. L'Italia resta grande opportunità dati i buoni rendimenti in uno scenario mondiale di tassi sotto zero. Ma resta anche osservato speciale, dati appunto l'alto debito, la crescita esangue e, non ultimo, un tasso d'inflazione fermo a ottobre ad appena lo 0,2% annuo. Bassissimo, inutile per pensare di far scendere il rapporto debito/Pil 'diluendolo' con una maggior crescita nominale.

Occhi puntati, dunque, anche sui voti delle agenzie di rating. La conferma del rating da parte di Dbrs, la meno nota fra le principali agenzie di rating, non sembra destinata a cambiare l'idea degli investitori, che al momento si fidano della manovra cautamente espansiva del ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. Ma l'economia senza slancio, l'inflazione bassissima e i rischi globali - dalla Cina all'ipotesi di un'escalation sui dazi - suggeriscono che nulla è scontato nel 2020. E l'inversione di tendenza dello spread, tornato a salire dai minimi di ottobre, è il segnale che la Bce di Christine Lagarde non potrà andare molto oltre quanto già fatto da Draghi. Da qui in poi, la palla passa ai governi. E Berlino, schivata la recessione, ha già fatto sapere che non lancerà uno stimolo di bilancio in grado di fare da 'game-changer'.

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