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Ambrosetti, l'Iran rischia di restare un'opportunità bloccata

Banche europee paralizzate da Usa, grandi investimenti al palo

ROMA - Una grande opportunità economica che l'Italia e l'Europa ancora non riescono a cogliere, almeno nel campo dei grandi investimenti infrastrutturali, perché bloccate dalla paralisi imposta al sistema bancario dagli Usa. E' il quadro uscito dall'Iran-Italy Summit svoltosi di recente a Roma su iniziativa di The European House Ambrosetti, il secondo dopo quello a Teheran nel 2016, e che ha accolto anche una folta delegazione di imprenditori iraniani.
    A parlarne con l'ANSA è Marina Mira d'Ercole, responsabile del progetto, in cui si è fatto il punto sui rapporti bilaterali tra l'Iran e l'Italia - che in questo ultimo anno si è comunque riaffermata come primo partner commerciale in ambito Ue - ed in memorandum di intesa (Mou) per 30 miliardi di euro per i grandi investimenti, coinvolti 'giganti' come FS e Saipem, che sono ancora quasi tutti fermi al palo. "Tutto il sistema bancario è bloccato in quanto collegato agli Usa - dice Marina Mina d'Ercole, in merito al rischio per le banche di dover pagare pesanti multe per aver violato le sanzioni anti-Iran, quelle non legate al nucleare ma in vigore negli Stati Uniti -. Tutte le banche che hanno a che fare con gli Stati Uniti e hanno transazioni in dollari sono paralizzate.
    Piccole banche regionali o comunque meno esposte con gli Usa lavorano, come la Popolare di Sondrio, e sono anche anche molto operative, provvedendo al 60-70% degli affari con l'Iran". Che il clima con l'arrivo di Trump alla Casa Bianca non sia affatto migliorato lo dimostrano non solo le nuove sanzioni contro soggetti iraniani inseriti nella lista nera di Washington, ma una strana lettera giunta a banche e società italiane che dovevano partecipare al Forum Ambrosetti. Una lettera a firma della organizzazione United Against Nuclear Iran, in cui si avvertiva che, con la "nuova strategia per l'Iran" annunciata da Trump il 13 ottobre scorso, non era affatto consigliabile fare affari con quel Paese. Una consiglio percepito come una "velata minaccia" dai destinatari, tanto da spingere i promotori del summit a chiedere chiarimenti alle autorità statunitensi a Roma. "Ci è stato detto che l'organizzazione non aveva alcun mandato politico e di non darvi importanza", riferisce Marina Mira d'Ercole. Ma è comprensibile che il senso di minaccia resti. E che possano spaventare i complicati e lunghi processi di 'due diligence' necessari per accertare che i partner economici iraniani non siano collegati, per via di complicati intrichi societari, con la lista nera USA.
    Tanto che "nel mondo del privato molti si stanno stancando - osserva Marina Mira D'Ercole - e l'opportunità Iran rischia di non realizzarsi". E questo comporta un altro rischio, ribadito ai recenti Med Dialogues: che anche gli iraniani si stanchino degli europei, e l'Iran guardi invece sempre di più ad Oriente: Cina, India Giappone Corea. "Ma temo che per un po' sia tutto bloccato da parte dell'Europa nei confronti dell'Iran. Anche se tra gli Mou qualcosa sta partendo, in particolare nel settore ferroviario. Quanto alle garanzie che i grandi investimenti avrebbero dovuto trovare prima nella Sace, e poi in Invitalia - indicata dal governo con questo scopo nella legge di bilancio - resta comunque il nodo del sistema bancario, osserva. Ma il quadro non è tutto in nero: un ampio margine di manovra rimane all'Italia nell'ambito dell'interscambio, "con circa 2/3 del nostro export dato da macchinari per riqualificare la tecnologia iraniana", e nel campo di azione delle medie imprese, che non richiede massicci investimenti. Certo che, a quasi due anni da quella prima visita del presidente Rohani in Europa con primo scalo proprio a Roma, l'ottimismo sul ruolo guida dell'Italia nella riapertura internazionale del mercato iraniano, conclude, sembra molto ridimensionata.

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