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Petrolio, partita dall'Iran prima petroliera dopo fine sanzioni

Teheran invierà 4 milioni di barili all'Europa

E' partita dall'Iran la prima petroliera che segna il ritorno del Paese sul mercato del greggio europeo dopo la fine delle sanzioni. Secondo quanto riferisce l'agenzia Bloomberg la nave Distya Akula (una cosiddetta Suezmax, vale a dire le cui dimensioni consentono il passaggio nel Canale di Suez) è partita ieri dall'isola di Khark nel Golfo Persico. Le petroliere Suezmax possono trasportare fino a un milione di barili di petrolio e, stando al livello di immersione dell'imbarcazione nel mare, dovrebbe essere piena. Il ministero del petrolio di Teheran aveva annunciato ieri che entro 24 ore sarebbero partite tre petroliere con 4 milioni di barili di greggio a bordo, dirette verso l'Europa: due sono destinati alla Total e due a compagnie spagnole e russe.

Petrolio su montagne russe, da Iran 4mln barili a Europa  - Prima il capitombolo ai minimi da 12 anni, il giorno dopo il rimbalzo fino a quasi 30 dollari. Sono le montagne russe del prezzo del petrolio, che, tra i difficili tentativi di alcuni paesi produttori di tornare a livelli di normalità, lo scetticismo di molti analisti e la speculazione che impazza, non riesce a trovare una direzione e un equilibrio che consenta al mercato di fare delle scelte di investimento basate sulla solidità. L'Iran, intanto, torna alla grande sul mercato europeo e invia 4 milioni di barili. L'attesa, come è ovvio, è per le mosse dell'Opec e, in particolare, per la sensibilità che alcuni sperano di trovare nell'Arabia Saudita, da più parti indicata come il motore dell'attuale andamento dei mercati. Il Paese che con maggiore costanza e impegno si sta muovendo per convincere Paesi Opec e non Opec ad agire è il Venezuela, che proprio a causa del crollo dei prezzi del greggio rischia addirittura il default: il presidente Nicolas Maduro oggi ha detto chiaramente in tv che il prezzo "non tornerà più a 100 dollari al barile". Questo non vuol dire, però, che ci si debba rassegnare, come ha spiegato il ministro del Petrolio di Caracas, Eulogio Del Pino, a lasciare che l'oro nero, "un bene non rinnovabile ma fondamentale per l'umanità, finisca preda del mercato degli speculatori".

Per questo il Paese sudamericano si sta facendo in quattro per convincere i colleghi dell'Opec, ma anche i produttori esterni come la Russia, a un'azione comune mettendo a punto dei "meccanismi" che, ha auspicato Maduro, possano trovare consenso. Lo scetticismo rispetto a questo genere di soluzioni, tuttavia, è abbastanza diffuso tra gli analisti. Oilprice.com, uno dei principali siti del settore, sostiene infatti che non ci sarà nessun taglio da parte del Cartello, per almeno un paio di buone ragioni: la prima è che la strategia dei prezzi bassi sta centrando l'obiettivo, vale a dire mettere in difficoltà i produttori di shale oil americani, che come ha evidenziato di recente Standard & Poor's stanno effettivamente collezionando fallimenti a catena; la seconda è che in realtà la produzione Opec sta aumentando e crescerà ancora con l'ingresso dell'Iran sul mercato: basti pensare che entro 24 ore Teheran invierà 4 milioni di barili all'Europa (due alla Total e altri due a compagnie russe e spagnole). In assenza di contromisure, comunque, il prezzo potrebbe in ogni caso tornare a un livello più rassicurante per i paesi produttori e per le grandi major petrolifere per la metà del 2017: la previsione è del presidente della Kuwait Petroleum International (Q8), Bakheet Al-Rashidi, che spera in "50-60 dollari al barile". Di certo la situazione attuale, che pure porta benefici ai consumatori, non tranquillizza la Bce: il crollo del greggio e il rallentamento della crescita rappresentano "nuovi rischi" per l'economia, anche rispetto a dicembre, ha avvertito il componente del consiglio esecutivo di Francoforte, Benoit Coeuré.

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