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Squinzi: 'Italia faticosamente uscita da recessione'

Confindustria: risale la china, urgenti le scelte della politica

"L'Italia è finalmente e faticosamente uscita dalla recessione", dice il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi: anche i dati Ue di oggi "dimostrano che il miglioramento c'è. Dovremmo veramente vedere l'uscita dal tunnel a breve".

Confindustria: risale china, urgenti scelte politica - L'industria manifatturiera "ha cominciato a risalire la china", e "non si tratta di una falsa partenza"; ma "con un passo ancora lento e assai disomogeneo (rpt, disomogeneo) tra i suoi comparti", rileva il centro studi di Confindustria. Mentre la crisi, che "ha colpito di più la manifattura del Sud", "aggrava la questione meridionale". Così, "sono urgenti scelte politiche". "E' diventata ormai irrinunciabile la politica industriale, come strumento ordinario di politica economica", avvertono gli economisti di Confindustria, con il rapporto di novembre del centro studi sugli scenari industriali. L'industria italiana "non è di fronte ad una falsa partenza, simile alle molte che hanno punteggiato la lunga crisi". Indicatori, fattori internazionali favorevoli, e la politica di bilancio non più restrittiva", indica il CsC, delineano oggi prospettive "di consolidamento e di progressiva diffusione del recupero". E' "un nuovo cominciamento impostato su buone fondamenta, non una ripresa congiunturale". Il "rilancio" dal 2014 è stato prima "titubante e poi più sicuro". Ma "a velocità diverse". Pesano "i vuoti scavati" dalla crisi con un diverso impatto nei settori di produzione e sul territorio. Ci sono comparti dove i cali di produzione "sono da considerare irrecuperabili ('nelle forme e nei modi conosciuti' servirebbero quindi misure straordinarie) e corrispondenti a distruzione di capacità". E c'è ancora un allarme per il Sud: la vocazione manifatturiera "è caduta molto di più dove era già bassa"; con due effetti: da un lato una "rassicurazione, in quanto sono stati espulsi i produttori più fragili e meno competitivi e sono stati preservati quelli meglio attrezzati a competere e a generare la ripartenza manifatturiera"; dall'altro, "aggrava la questione meridionale e fa diventare una sfida ancora più cogente e impegnativo l'obiettivo di riduzione del divario tra più di un terzo del Paese e il resto". L'industria italiana si contrae in quantità ma non c'è "fiacchezza", mantiene "solide basi per far ripartire lo sviluppo", "indicatori di qualità e di forza competitiva" come la propensione ad innovare seconda solo alle imprese tedesche, l'elevato tasso di investimento (doppio del tedesco e francese ed in linea con gli USa), la seconda posizione al mondo per complessità dell'export (ancora dopo la Germania). Così nella classifica del CsC delle "fabbriche del mondo", l'Italia resiste e difende il suo ottavo posto (dopo Cina, Usa, Giappone, Germania, Corea del Sud, India e Brasile): "Se l'Italia non avesse dei vantaggi e delle competenze non si spiegherebbe il suo essere ottava potenza industriale con una quota sulla produzione mondiale (2,5%) che è un multiplo di quella demografica (0,8%) a conferma della sua elevata vocazione manifatturiera"


   

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