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Draghi, Bce agirà a giugno. L'Italia faccia le riforme

Bce lascia i tassi invariati. Preoccupa euro forte; no a deroghe bilancio

La Bce lascia i tassi allo 0,25% ma a giugno sarà pronta ad agire: il presidente Mario Draghi e i Governatori delle banche centrali, preoccupati dall'euro forte combinato al prolungato periodo di bassa inflazione, sono all'unanimità pronti a muoversi. Ma gli Stati dell'Eurozona, avverte Draghi, devono continuare a fare la loro parte, soprattutto quelli dove la crescita stenta a decollare o hanno squilibri macroeconomici eccessivi, due fronti sui quali Draghi chiama in causa implicitamente anche l'Italia: l'indicazione è quindi di non mettere in discussione le regole di bilancio, perseverare nelle riforme, seppur dolorose, e nonostante l'ondata euroscettica. Perché senza l'euro si rischia di tornare alle crisi degli anni '70 o '90. E sulla questione delle regole, il ministro Pier Carlo Padoan precisa subito: "Il rinvio del pareggio di bilancio è stato chiesto per il peggioramento del clima economico e per poter pagare i debiti della P.a.".

Al termine della riunione mensile del board Bce, questo mese a Bruxelles, Draghi espone con chiarezza il "motivo di grande preoccupazione": il forte apprezzamento dell'euro, che rischia di esacerbare la bassa inflazione (0,7% ad aprile). Nonostante il tasso di cambio non rientri nel suo mandato, la Bce segue dunque molto attentamente le quotazioni dell'euro. Draghi ribadisce che il consiglio è unanimemente impegnato a mobilitarsi con misure straordinarie, e ad "agire velocemente" di fronte a un'inflazione che resterà bassa a lungo con un "miglioramento solo graduale". L'enfasi di Draghi, ripetuta due volte, è sull'avverbio "solo". Assieme alle parole successive - "il consiglio si sente di agire il prossimo mese", è la quasi certezza di un intervento il prossimo 5 giugno, all'indomani del voto europeo e con il mano le nuove proiezioni, appunto, sull'inflazione da qui al 2016. Intervento che probabilmente dovrebbe essere una riduzione del tasso principale d'interesse, tale da rendere gli investimenti in euro meno remunerativi e dunque a far calare le quotazioni, gonfiate dagli afflussi dagli emergenti a partire dai capitali in fuga dalla Russia, altro tema che tiene la Bce in allerta. Ma la Bce potrebbe anche portare in negativo, in una manovra senza precedenti, il tasso sui depositi bancari, rimettendo in circolo liquidità. Meno probabili, anche se non escluse, misure straordinarie come un piano di acquisto di prestiti cartolarizzati o di titoli di Stato: probabile che per il primo tipo d'intervento la Bce attenda di aver completato i test sulle banche, e per il secondo incroci le dita sperando di non doverlo mai usare.

Per il mercato arriva il segnale atteso: l'euro piomba da quasi 1,40 dollari a 1,3850, lo spread italiano va ai minimi dal maggio 2011 sotto 147, Milano e Madrid fanno un rally rispettivamente del 2,30% e 1,70%. Con le europee dietro l'angolo, e l'euro sotto l'attacco di molti movimenti politici in ascesa, Draghi ci tiene a ricordare anche il valore della moneta unica: "Nella mia opinione, negli ultimi 20-25 anni l'integrazione che abbiamo costruito ha portato molti benefici. Non voglio tornare alle crisi degli anni '70, '80 o persino dei primi anni '90". La risposta, secondo il presidente, è creare una maggiore integrazione, che porterà più equilibrio negli stati. In ogni caso "il dibattito sui costi o benefici dell'Europa è buono, è segno di democrazia". E anche le regole di bilancio, dal Patto di stabilità al Fiscal Compact, non devono essere messe in discussione, perché in passato è stato fatto e i risultati li abbiamo pagati: "Germania, Francia e Italia all'inizio degli anni 2000 hanno rotto le regole sui bilanci e questo ha fatto perdere credibilità, da allora alcuni hanno iniziato ad accumulare debito, poi rivelatosi insostenibile, quindi la crisi dimostra che minare la credibilità delle regole esistenti non è mai buono per la crescita", spiega Draghi in risposta a una domanda sul rinvio del risanamento di bilancio chiesto da Roma e Parigi. Per questo gli Stati dove la crescita è ancora lenta e dove ci sono squilibri elevati, come l'Italia, devono portare avanti azioni decise: "Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, hanno fatto molte riforme strutturali e ora si vedono chiari segni di ripresa, quindi quelli dove la ripresa è in stallo devono perseverare con le riforme, che sono dolorose, ma non sembra esserci alternativa".

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