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'Carciofi alla giudia' in Roma in crisi

L'incontro tra una donna razionalista e un ebreo osservante

(ANSA) - ROMA, 3 APR - ELISABETTA FIORITO, "CARCIOFI ALLA GIUDIA" (MONDADORI, pp. 276, 18 euro) Una coppia anomala, formata da una donna razionalista, regista teatrale, e un ebreo di origini tripoline, commerciante, sullo sfondo della Roma della crisi in un romanzo che si legge tutto d'un fiato. Rosamaria, la protagonista, è una donna che ha perseguito le sue passioni con determinazione, tendenzialmente agnostica, il suo motto è: troppa religione fa male qualunque essa sia. Ma il destino la porta ad incontrare di nuovo un vecchio amore di gioventù, David, ebreo tripolino osservante.
    Dopo anni di solitudine, i due si innamorano malgrado l'età non più giovanissima e le diverse visioni della vita. In un susseguirsi di colpi di scena, Rosamaria, incinta di Arturo, figlio di David, si trova a fare i conti da un lato con una religione complessa dalle rigide regole alimentari e dalle molteplici festività e dall'altro con l'antisemitismo che persiste malgrado gli orrori e le persecuzioni del passato, in una famiglia allargata tra pranzi rigidamente kasher preparati dalla suocera e quelli "impuri" della madre. La storia si svolge in pochi intensi mesi, tra la primavera e l'autunno del 2014, da Pesach, la Pasqua ebraica, e Yom Kippur, il giorno dell'espiazione. Il romanzo di Elisabetta Fiorito descrive uno spaccato l'Italia falcidiata dalla crisi, soffocata dai vincoli europei e dall'inabilità della classe politica di far fronte alla situazione. L'azienda Cecchiarelli, della famiglia di Rosamaria, ha dovuto chiudere i battenti; il fratello è scomparso prima che fosse dichiarata la bancarotta; la madre è andata fuori di testa e lo sogna in ogni parte del globo; il padre non riesce a rassegnarsi al fallimento; l'altro fratello cerca di tirare avanti come può. Anche David non se la passa meglio: i negozi di abbigliamento che gestisce insieme ai fratelli risentono pesantemente della situazione economica. La famiglia Fellus è arrivata in Italia nel 1967 dopo la cacciata degli ebrei dalla Libia, ha preferito restare a Roma invece che andare in Israele, ma la scelta si è rivelata forse sbagliata con il passare del tempo. David non può fare a meno di notare come negli ultimi anni l'Italia sia andata indietro mentre Israele è in pieno boom economico con un pil che cresce a livelli inimmaginabili malgrado il costante pericolo che si vive nel Paese. Tel Aviv è una città piena di vita, di coppie giovani, frizzante, culturalmente all'avanguardia davanti alla quale Roma, malgrado i tramonti e la bellezza dei monumenti e dei vicoli, impallidisce e non riesce a reggere il confronto. Malgrado tutto ciò, e malgrado i tagli alla cultura, Rosamaria si ostina con pazienza e testardaggine a voler mettere in scena una commedia brillante, mentre nessuno crede nella nuova drammaturgia e si preferiscono sempre i testi di repertorio per far numero a teatro. Una scelta che va contro ogni buon senso, come le viene ripetutamente ricordato, in un Paese dove si legge sempre di meno, dove nessuno sembra interessato alle novità e dove il populismo avanza. Dal teatro, il romanzo prende il ritmo attraverso dialoghi ironici in cui si descrive la realtà del nostro paese con toni brillanti dal retrogusto amaro tipici della commedia all'italiana.
    Elisabetta Fiorito (giornalista parlamentare per Radio24-Il Sole 24ore, vincitrice del Fersen 2016 per la drammaturgia) descrive uno spaccato quotidiano del nostro tempo: senza indugiare nella cronaca ma facendo emergere un paese che sembra intrappolato in se stesso dove si vive ormai solo di passato, ricordando e rimpiangendo le estati d'infanzia al Circeo, i cotonati anni '80, l'Italia del boom per evitare di pensare al presente immobile e senza speranza. Un libro dal finale surreale, scorrevole che vola leggero sui conflitti e sulle contraddizioni della vita, guardandole dall'alto ma con grande profondità e sensibilità. (ANSA).
   

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