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L'arte in Italia tra creatività e crisi: il design ci salverà?

Imperatori-Civita:-6,1% ditte in un anno, ma 4mld a chi fa stile

   (ANSA) - ROMA, 1 OTT - PIETRO ANTONIO VALENTINO, L'ARTE DI PRODURRE ARTE (MARSILIO, PAG. 270, EURO 27,00).
    Imprese che muoiono, ma il mondo del design che investe. Roma che soffre, anche se meno della media nazionale, e il Nord che ha più occasioni, in un'Italia creativa ancora troppo fanalino di coda in Europa, nonostante le sue grandi potenzialità. E' la fotografia del paese scattata da ''L'arte di produrre Arte. Imprese italiane del design a lavoro'' (ed. Marsilio Editore), rapporto curato dall'economista Pietro Antonio Valentino e realizzato dal Centro Studi G. Imperatori dell'Associazione Civita con Fondazione Roma-Arte-Musei, per analizzare l'Industria Culturale e Creativa Italiana nel suo complesso (editoria, tv e cinema, pubblicità e pubbliche relazioni, arti visive, beni culturali) con un focus su quello che storicamente è sempre stato il nostro prodotto più forte: il design.
    Il Rapporto racconta che nel 2011 le imprese attive nell'Industria Culturale e Creativa Italiana sono 168.309 per 326.493 posti di lavoro, con editoria, cinema e tv a offrire più opportunità (115.406 occupati), seguiti da ditte di design (91.511) e studi di architettura (74.160). Il primo allarme arriva però dal confronto con l'anno precedente: in soli 12 mesi sono scomparse 10.870 aziende. Un calo del 6,1% rispetto al 2010 che risente sicuramente della crisi economica, ma che è molto più incisivo di quello registrato in altri comparti pur in difficoltà come le Costruzioni (-3,8%) o il Manifatturiero (-0,5%). E che ha portato via con se' 28.738 posti di lavoro (-8,1% del totale): dopo le Costruzioni (-9,4%) è il dato peggiore di tutti i settori industriali italiani.
    Una perdita cui hanno contribuito tutti (il 51,5% però viene dalle Arti visive nel loro complesso), ma con alcune differenze nei singoli settori. Le Rappresentazioni artistiche, ad esempio, vanno peggio di tutti con -22,6% di occupati in un anno che diventano -33,3% nel confronto con il 2008. Lo stesso accade per le produzioni di cinema e tv (-19,2% ma -29,7% in cinque anni) e per l'editoria di riviste e periodici (-18,9% e -25,6%).
    Invertono invece il trend negativo le attività di musei, che pur venendo da un -20,9% di occupati tra il 2008 e il 2011, festeggiano un +10,9% tra il 2010 e il 2011. Bene anche il design con +2% sui 12 mesi e + 29,3% sui cinque anni.
    Nel complesso, il fenomeno più allarmante, sottolinea il Rapporto, è che la perdita di addetti e imprese in Italia è più accentuata proprio in quei settori che invece dovrebbero essere più ''innovativi'', come l'informatica e l'industria culturale e creativa. A testimoniare la difficoltà del ''sistema Italia'' a reggere il passo con l'Europa, è anche la classifica occupazionale tra i 5 paesi ''big'': dal 2008 al 2011 nell'ICC peggio di noi ha fatto solo la Spagna, mentre Francia, Germania e Regno Unito hanno tutte chiuso in positivo.
    A livello territoriale, la città italiana che più offre opportunità di lavoro è Roma. Da sola la capitale raccoglie il 4,0% di tutti gli addetti del settore culturale e creativo, seguita da Milano, Rimini, Palermo, Firenze. In generale è il Centro-Nord a offrire più occasioni, soprattutto nel campo di design, web, pubblicità (56,0% contro il 28,4% del Centro). Per i beni culturali, invece, la classifica s'inverte con il Centro in testa (43,2%) seguito dalle isole (26,1%). Ma Roma allo stesso tempo è anche la città che in termini assoluti più piange la perdita di posti di lavoro tra il 2010 e il 2011 (-3.662 addetti pari al -5,9% , che si tiene però comunque al di sotto della perdita media nazionale di -8,1%), seguita da Napoli (-2.628 addetti, pari però a un dilagante -25,3%); Torino (-2.195 addetti pari a -12,6%); Firenze (-1.544, pari a -16,7%); Verona (-1.312, pari a -19,6%).
    Il settore del design sembra invece mantenere il suo appeal, con circa 4 miliardi di euro investiti solo nel 2011, contro i 3,5 di Germania e Regno Unito e 1,5 e 1,1 di Francia e Spagna.
    Obiettivo principale, il miglioramento della qualità e un ampliamento della gamma di servizi, che evidentemente consentono di competere sui mercati anche nel periodo della crisi. Il tutto a beneficio anche dei 43 mila creativi che lavorano direttamente nelle imprese specializzate, cui si possono aggiungere i 69 mila designer in-house che si stima operino nelle aziende dei settori del ''bello e ben fatto'', più una parte, circa il 50%, degli architetti. Fino a dire che nel 2011 i designer italiani raggiungevano la cifra di 149 mila unità.
   

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