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La 'Palma' Jane Campion, la tv mi ha arricchita

A Cannes con la seconda stagione Top of the Lake, con Kidman

Come ricorda bene la foto di gruppo del 70/o festival di Cannes, è la neozelandese Jane Campion l'unica Palma d'oro al femminile nell'intera storia del Festival. Del resto la sua vita artistica si è spesso intrecciata con quella della Croisette dove si è rivelata vincendo la Palma del corto nel 1983, dove ha cominciato la sua carriera internazionale con il folgorante "Sweetie" (1989), dove si è celebrata con la Palma di "Lezioni di Piano" (1993) e dove è poi tornata più e più volte anche come presidente di giuria. Oggi il Festival la festeggia con la sua seconda incursione nella serialità televisiva, la seconda stagione di TOP OF THE LAKE firmata a quattro mani con Ariel Kleiman, quattro anni dopo la prima serie.

E' giusto ricordare alcuni momenti "alti" della sua filmografia, incluso "Ritratto di signora" che a Venezia consacrò nel 1996 l'ancora giovanissima Nicole Kidman, perché esiste un filo rosso, marcato e voluto, cui Jane Campion non è mai venuta meno: l'attenzione alla donna, la costruzione di una collana di personaggi intensi e controversi che è l'immagine stessa del suo cinema. "Sono contro tutte le ghettizzazioni, compreso il femminismo come genere e casella schematica, ma molte delle battaglie del movimento sono state anche le mie e tengo che anche in un racconto come 'Top of the Lake' sia questo tipo di tematica a emergere e a spiegare i personaggi e gli intrecci".

Il nuovo TOP OF THE LAKE si intitola "China Girl" e segue le indagini della detective Robin Griffin tornata a Sidney e costretta a guardare in faccia il suo passato e i suoi incubi. Quando sulla spiaggia viene ritrovato il corpo di una ragazza asiatica, Robin comincia la sua indagine contro tutte le evidenze e la penuria di indizi, finché non trova per caso un filo da tirare che la porterà nel cuore sinistro di una città in cui la violenza sulla donna, la sopraffazione, l'interesse non si fermano nemmeno di fronte alla morte. In parallelo però, la serie sviluppa un altro tema attraverso sei ore di intenso cinema, sprofondato in un tono cupo e notturno che contrasta con la forza del sole e la ricerca della verità. Robin infatti sta cercando, attraverso il lavoro, di ricostruire la sua personalità e la sua dignità. E sa che per far questo deve fare i conti con il bambino che ha abbandonato alla nascita. Nel contrasto e nell'amicizia con il personaggio di Julia (Nicole Kidman), Robin (Elisabeth Moss) si troverà faccia a faccia con il suo essere donna, conscia di una fragilità che non può cedere alla debolezza.

"Mentre giravamo la prima stagione in Nuova Zelanda - racconta Moss - ogni tanto con Jane ci domandavamo se avremmo voluto continuare l'esperienza; ma era quasi un gioco. Poi abbiamo cominciato a parlarne seriamente e io le ho chiesto di dare un tono più nero e personale al personaggio, di trovare una vera ragione per costruire un seguito che rivelasse meglio la donna e non solo l'intreccio poliziesco. Alla fine ciò che ci ha convinto veramente è che, come nella realtà, anche per il personaggio di Robin sono passati quattro anni dalla precedente inchiesta. E c'è molto da scavare nella sua vita e nei suoi sentimenti". Anche per Nicole Kidman, che in questi giorni sta letteralmente "vampirizzando" il festival come star regina (in alternativa a Claudia Cardinale che di Cannes 2017 è l'immagine passata e presente), l'occasione di TOP OF THE LAKE è stata un'esperienza di vita. "Devo moltissimo a Jane - dice - che mi ha in qualche modo scoperta per ciò che sono. Io amo profondamente recitare e accettare sfide difficili. Quella di Julia era davvero l'opportunità di un viaggio nel mio essere donna e madre. Per questo oggi ne sono fiera". TOP OF THE LAKE si conferma un autentico miracolo di racconto a incastro che, ad ogni svolta della trama, si approfondisce in complessità e umanità senza perdere di vista i meccanismi base del noir classico. E Sidney assume il ruolo di un vero personaggio aggiuntivo con il suo doppio fondo di città solare e metropoli notturna, brulicante di vita e morte insieme, contro tutte le apparenze. Sulla polemica del giorno, ovvero l'intrusione delle piattaforme e delle reti televisive nel tempo del cinema, Campion ha le idee chiare: "Amo profondamente il cinema che si vede in sala - dice -, del festival di Cannes e di quel rarefatto gentiluomo che ne è stato presidente per oltre trent'anni, Gilles Jacob, conservo un ricordo appassionato proprio per la sua difesa strenua degli autori e dell'espressione libera, per il calore che - come oggi Thierry Fremaux - sa infondere a tutti i suoi autori, ma l'esperienza televisiva mi ha in qualche modo arricchita. Quando pensi a un film lavori su un'idea centrale e il tuo compito è andare dritto al punto; invece il racconto televisivo è come un albero con tanti rami; devi sapere qual è il tronco, ma come un pianista puoi suonare tanti tasti, creare digressioni, sviluppare caratteri, senza porti limiti e barriere. Per questo alla fine mi pare che si tratti di un falso problema. Forse la situazione ideale è proprio quella che sto vivendo: essere qui con un racconto di sei ore cambia ogni prospettiva e tutto riprende una forma naturale".

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