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Addio a Memé Perlini, il ribelle del teatro anni '70

Tragica fine. Fu attore, autore e regista anche per cinema e tv

(ANSA) - ROMA, 5 APR -La prima immagine che viene alla mente ricordando Memè Perlini (al secolo Amelio, nato a Sant'Angelo in Nizzola nel pesarese), è lo sguardo acuto, il sorriso tra ironico e sarcastico, il baffo che conquista, la folta e ribelle capigliatura un tempo corvina. Del teatro d'avanguardia è stato protagonista e pigmalione di talenti; del cinema di ricerca che, tra gli anni '60 e '70 spesso andava sottobraccio ad ogni forma di sperimentazione, è stato outsider di lusso, specie grazie al sodalizio con il raffinato talento visivo di Antonello Aglioti, suo compagno di molte avventure. La notte scorsa la fine tragica: si sarebbe suicidato lanciandosi dalla finestra del suo appartamento a Roma, vicino piazza Vittorio. Era nato l'8 dicembre del 1947 e nella vicina Urbino si era fatto le ossa alla Scuola del Libro specializzandosi in cartoni animati e disegno, grazie a un talento originale nella pittura. Così, compiuti i 20 anni aveva imboccato la via di Roma e dell'Accademia di Belle Arti, ma ben presto il suo talento istrionico e personale lo spinge nelle cantine teatrali dell'Off romano dove si forma alla scuola di Giancarlo Nanni, maestro e amico nonostante appena sette anni di differenza. E' proprio Nanni a incoraggiarlo quando fonda il teatro La Fede di Via Portuense e gli dà spazio insieme a Manuela Kustermann per le prime esperienze da attore e regista. Nasce lì la Scuola Romana che, sul magistero del "teatro indipendente" di Kantor e le esperienze di artisti come Lindsay Kemp, Grotoski, Vasilicò e altri esponenti del "teatro povero", dà vita a una stagione vivacissima e internazionale della scena romana e italiana. Dal gruppo Perlini si stacca - senza mai rinnegarne l'importanza e un filo rosso costituito dalla comune pratica della pittura e della forma - per dar vita al Teatro La Piramide che fonda insieme ad Antonello Aglioti nel 1978 dopo il successo veneziano di "Otelloperché" del 1975 e "Locus Solus" del '76. Fin da allora emerge però l'originalità di linguaggio di questo raffinato indagatore delle nuove potenzialità del teatro nel secolo dell'immagine del suono meccanico. Nonostante dialoghi da pari a pari con i grandi del palcoscenico, da Shakespeare a Pirandello (memorabile il suo biglietto da visita "Pirandello chi?"), Perlini crede fino in fondo nella potenza evocativa della visione, fino ad annichilire la parola per lasciare spazio al cinema, alla sonorità pura, alla distorsione dello sguardo e dell'udito. Benché diversissimi, lui e Carmelo Bene saranno i due maggiori teatranti italiani attratti dal cinema in quella stagione irripetibile. Così nel 1977 firma la sua prima regia per il grande schermo con Aglioti protagonista: è "Grand Hotel de Palmes" accolto al Festival di Cannes come "Cartoline italiane" con Lindsay Kemp dell'anno successivo. Il titolo "Grand Hotel des Palmes" rievoca i fasti di uno dei più antichi alberghi di Palermo e rivive gli ultimi tre giorni della vita del sulfureo poeta francese Raymond Roussel, morto suicida in un alone di disperazione, droga e mistero. A produrre il lungometraggio è la Rai, allora alla ricerca di talenti diversi per nutrire il progetto rosselliniano di "cinema per la televisione" e l'approdo a Cannes genera tanti consensi quante polemiche, sia per il tema trattato, sia per l'esasperato estetismo che autore e protagonista scelgono come chiave espressiva. Ma per Memè Perlini il cinema era anche passione personale e autentico divertimento: in veste di attore aveva infatti calcato i set di film diversissimi dal western di Sergio Leone ("Giù la testa") alla commedia erotica ("Decameron proibitissimo"), o al cinema d'autore (due volte con Comencini poi con Mazzacurati per il suo esordio in "Notte italiana", fino a "La famiglia" di Ettore Scola). Con la maturità Perlini ha riannodato i fili del teatro ufficiale firmando regie importanti e applaudite, da "Il mercante di Venezia" a "Molly Bloom", da "Medea" a "La Lupa", fino al suo congedo quasi autobiografico, nel 2010 con "Arianna, la via dell'amore". Per la televisione diresse anche una riuscita "Cavalleria rusticana" con Massimo Ranieri e Lina Sastri e vi sarebbe ritornato da attore nel 2005 per la serie televisiva di Riccardo Donna "Nebbie e delitti". Le ultime regie per il cinema sono invece il molto contestato "Ventre di Maria" del 1992 e "Dentro il cuore" del '96. L'etichetta di "ribelle del nostro teatro" che si portava dietro dagli anni '70 non gli dispiaceva, ma una passione onnivora per la scena e la rappresentazione lo avevano spinto a superare ogni steccato per cercare una strada espressiva inconfondibile. Eppure, a ritroso, il capolavoro della sua carriera, resta proprio quel Teatro La Piramide dove le porte erano aperte per ogni talento, ogni idea nuova e ogni invenzione creativa. Di lì passarono infatti il giovanissimo Martone, il gruppo musicale degli Area, il teatro di Wedekind e di Peter Handke, gli happening surrealisti e Philip Glass, Toni Servillo e Bob Wilson, Ennio Fantastichini e Sergio Castellitto. Da alcuni anni Memè Perlini si era appartato, in preda a una forma acuta di depressione e a un'inguaribile solitudine. Oggi resta la sua parola, il suo accento strascicato e fintamente blasé, la sua eleganza naturale e un'ironia che si fa beffe anche della morte. (ANSA).

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