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50 anni per il Teatro povero di Monticchiello

Nel piccolo borgo medievale della Val d'Orcia

"Middle West come Piemonte" diceva Pavese, intendendo che andando al fondo di ogni provincia, a esplorare nel piccolo le verita' umane, si scopriva sempre qualcosa di universale. E' quel che accade al Teatro Povero di Monticchiello, che affronta sempre la propria realta' senza infingimenti e finisce per parlarci di qualcosa che ci riguarda tutti, anche chi vive in realta' molto lontane da questo stupendo, microscopico paesino chiuso nelle sue mura medioevali in Val d'Orcia, sotto Pienza. La "confusione, incertezza, rabbia" della gente del paese "stanca, mortificata e disorientata, confusa dalle chiacchiere, ma capace di stringere i denti" davanti ai "piccoli segnali positivi, seppelliti dalle enormi difficolta'", pensando "il peggio debba ancora venire", tanto da levare il sonno, e' qualcosa in cui chiunque oggi si riconosce e capisce perche' levi il sonno a questi protagonisti di 'Notte di attesa'.

E' il titolo dell'ultimo spettacolo messo in scena per festeggiare i 50 anni del Teatro povero che si replica nella piazza a fianco del bel duomo sino al 14 agosto, ultimo di 50 'autodrammi', come li defini' Strehler, ideato, scritto e recitato, sotto la guida del regista Andrea Cresti, dagli stessi abitanti del paese. La paura si impadronisce di tutti, torna la coscienza contadina di essere "gente di sotto", sotto al cielo, al sole o alla grandine da cui poteva dipendere il raccolto, e la cosa piu' facile e' ritirar su le mura, chiudersi a riccio in difesa di non si sa che cosa, cerando di capire cosa accade fuori. Si finisce cosi' autodetenuti, mentre ognuno avanza idee e proposte, anche le piu' strampalate, e gli attacchi di mostri e esseri ignoti si susseguono da fuori, finendo per rivelarsi anche mostri e fantasmi interiori. Solo allora, per ripartire e capire, si riesce a fare di nuovo piazza pulita e diradata ogni nebbia si capisce, come recita la ballata detta da una donna, che "l'ingordigia spregiudicata,/ l'invidia, l'ipocrisia, l'indifferenza che offende / e molto altro ancora / sono capaci di spegnere i colori / di immergere il mondo in una notte d'inchiostro / come fosse un assedio senza scampo". Quindi Arturo Vignai, forse l'ultimo rimasto che ha partecipato a tutte e 50 le recite, ripete la battuta detta appunto mezzo secolo fa, alla fine del primo autodramma, che rievocava un episodio della resistenza antinazista davanti a Monticchiello: "Avanti miei prodi! Distruggiamo il nemico senza pieta', fino alla fine del tempo e della vita".

Davanti alle difficolta' e alle incognite del mondo odierno e della crisi l'idea e' quella di ripartire, di prendere come esempio quel che accadde nel passato in un altro momento molto difficile, la fine della mezzadria, la lotta per le terre, l'emigrazione, che costrinsero a ripartire dall'inizio, a fare scelte, a impegnarsi in prima persona, a diventare uomini liberi nel bene e nel male, dopo secoli di sudditanza contadina. E i paesani fanno allora rivivere in scena le discussioni e il dramma di allora con la forza evocatrice della lingua toscana di queste parti, di cui gli anziani sono ancora padroni. E' un po' lo schema dei loro spettacoli, parlare dell'oggi e confrontarlo, trovare momenti rivelatori, nel passato, negli anni della fatica e della poverta', ma anche della solidarieta' e dei valori positivi sostanziali della civilta' contadina da cui provengono, oggi che e' il turismo l'occupazione principale, anche se olio e vino si fanno sempre e i campi sono pieni dei rotoli di grano. La forza del Teatro Povero, grazie alla sensibilita' dei suoi artefici, pur nell'ormai inevitabile ricambio generazionale, e' quella di essere riuscito a restare fedele a se stesso nonostante il successo, senza cercare vie piu' facili, magari di derivazione televisiva, puntando a un discorso che mantenesse al centro l'umanita' delle persone, cercando la metafora che magari talvolta resta solo allusione o rischiando qualche didascalismo, sempre pero' con la forza della sincerita', del coincidere del rappresentato col vissuto, del teatro come momento collettivo di riflessione. E sono i caratteri che metteranno a fuoco tanti studiosi a ottobre, durante una giornata di studi su questa manifestazione con mezzo secolo di vita. 

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