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Luciano Floridi, informazione sistema inquinato

Italiano professore a Oxford, 'serve tempo per riorganizzarsi'

"Il populismo, le fake news, la retorica non sono altro che adattamenti a un ambiente ormai inquinato come quello dell'informazione. Ne usciremo, in un modo o nell'altro, ma servirà tempo. E tutto il sistema dovrà riorganizzarsi, il fact checking da solo serve a poco". Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell'informazione all'Università di Oxford e Chairman del Data Ethics Group dell'Alan Turing Institute, traccia in un'intervista all'ANSA un quadro a tinte fosche del mondo dell'informazione, pur aprendo spiragli di speranza sul lungo periodo. Intervenuto oggi a Roma all'Information Literacy Day, la Giornata di studi sull'importanza dell'educazione all'informazione organizzata dall'Associazione Italiana Biblioteche, il professore ha parlato di una 'infosfera' malandata e compromessa, le cui difficoltà tuttavia poco riescono a scaldare gli animi dell'opinione pubblica, in un certo senso ancora inconsapevole dei rischi in termini di democrazia e libertà che da una cattiva informazione possono discendere. "Credo che ci sia un certo disinteresse da parte delle persone, ma dovrebbe essere solo temporaneo. E' come con l'inquinamento ambientale, c'è voluto molto tempo per rendersi conto dei danni e porvi rimedio. Oggi l'informazione è inquinata, ci sono danni seri: la speranza è che almeno le prossime generazioni ne abbiano consapevolezza e decidano di trattare questa infosfera con più attenzione", spiega, sottolineando i pericoli presenti in Italia, con "il mondo del giornalismo in crisi, perché dipende sempre di più dalla pubblicità, e quello delle biblioteche in costante autoanalisi.
Nell'era dell'informazione inquinata le prime specie a soffrire sono proprio gli esperti, che ormai sopravvivono male". "Poi c'è la tv, che è inaffidabile", prosegue, "quella pubblica è preda della politica, quella privata è in poche mani". Resta la scuola. "Il problema è che i ragazzi sentono che la scuola è scollegata dal mondo esterno", afferma, "per questo servono tutte le componenti del sociale, dalla famiglia agli amici, dalla strada al cinema, per diffondere una cultura di protezione dell'ambiente dell'informazione: altrimenti il solo monito a controllare le fonti è insufficiente". Dal suo punto di vista, come ci si può difendere dalle bufale o da notizie incomplete o fuorvianti, soprattutto considerando che i giovani ormai usano i social network come strumento di informazione e per decifrare i problemi della società? "Servono misure radicali. Per esempio, sarebbe un bene che chi dà false notizie avesse delle conseguenze legali, o che dalle istituzioni arrivassero seri disincentivi all'inquinamento dell'informazione. Oppure anche che un giornalista scorretto venisse bandito dall'Albo", dice, "sui social e sul web serve una partnership tra i privati e le istituzioni, perché non si può più essere tolleranti, soprattutto con quei siti che sembrano innocui ma non lo sono". "Stiamo correndo una maratona e serve il fiato lungo", conclude, "dobbiamo ancora imparare a vivere nell'online".

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