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Nord e Sud, le Coree uguali di Kim Ki-duk

Il prigioniero coreano, storia privata che racconta il presente

Può una piccola storia privata raccontare molto delle divisioni politiche di oggi e del mondo degli uomini? Sì nel caso de Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk che racconta con semplicità come un uomo buono, onesto e coraggioso possa trovarsi stritolato in una storia kafkiana solo per pochi metri di acqua: quelli che dividono la frontiera tra la dittatoriale Repubblica Popolare Democratica di Corea e la capitalistica Corea del Sud che poi tanto diverse, alla fine, non sono. Il film, che sarà in sala dal 12 aprile con la Tucker Film, racconta la storia del pescatore Nam Chul-woo (Ryoo Seung-bum) che abita in un villaggio della Corea del Nord e che ogni giorno, per lavoro, pesca sulla linea di confine d'acqua dei due Paesi. E sarà proprio l'acqua a tradirlo: una delle reti si aggroviglia attorno all'elica della sua barca, il motore si blocca e la corrente che va verso Sud trascina lentamente il povero Nam in zona nemica lontano dall'amata moglie e figlia adolescente. Riuscirà ora il prigioniero, dopo pressanti interrogatori, a convincere le forze di sicurezza sudcoreane di non essere una spia? Ma soprattutto riuscirà Nam, dopo il proprio faticoso rilascio, a convincere il potere nordcoreano della propria integrità? Nam è rimasto ancora quello che era, cioè un bravo cittadino devoto, o l'infezione del capitalismo ('Più forte è la luce, più grande è l'ombra') lo ha contaminato per sempre? Con Il prigioniero coreano - dice Kim Ki-duk del film già passato al 41/mo Toronto International Film e poi alla 73/ma edizione del Festival di Venezia - ho voluto mostrare un paradosso quanto siano simili Nord e Sud. Là c'è la dittatura, qui la violenza ideologica. E non si tollera che un povero pescatore del Nord, finito per caso fuor d'acqua, voglia semplicemente ritornarsene a casa. Non si può demonizzare un intero popolo. Il Nord non è solo la Dinastia dei Kim: la gente viene prima!". E ancora il controverso regista sud-coreano, vincitore del Leone d'Oro a Venezia con Pietà: "Mi sento più sudcoreano o più coreano? Mi sento semplicemente coreano. Il mondo magari lo scopre adesso, ma per noi coreani la divisione è una ferita che sanguina da settant'anni. Mio papà ha combattuto in guerra, io sono nato quand'era già finita, però ho fatto il militare e nell'esercito mi spiegavano ogni giorno che il mio nemico si chiamava Corea del Nord. E questo non lo trovo giusto".

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