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Mister Chocolat, da schiavo nero a star

La barriera della diversità al centro del film di Zem

(ANSA) - ROMA - Le discriminazioni razziali e la lotta per sopravvivere di chi e' diverso, in una storia vera che dai primi anni del secolo scorso si proietta con impressionanti rimandi nel nostro presente: c'e' tutto questo nel film Mister Chocolat di Roschdy Zem, dal 7/4 distribuito in 140 copie da Videa. Sullo schermo l'attore cult Omar Sy, nei panni di Rafael Padilla, primo artista nero della scena francese, la cui vita - in parte romanzata - si accompagna a quella del clown Footit (interpretato da James Thierre'e), amico e partner sulla scena circense, nonche' la prima persona ad aver creduto nelle sue potenzialita'.

Dapprima fenomeno da baraccone in un circo di periferia (dove impersonava un cannibale africano), Chocolat grazie all'incontro con Footit riesce ad arrivare nello splendore della Parigi della Belle poque e la conquista. Insieme al compagno, i due artisti portano il sorriso sulla bocca di migliaia di spettatori, grandi e piccini. Poco importa se Chocolat non abbia neppure un'identita' (cosa che lo conduce anche in prigione), perche' il successo e' a portata di mano e con esso il miraggio di una vita felice. Ma mentre cresce la popolarita' e l'amicizia con Footit, Chocolat cede alla debolezza, tra gioco d'azzardo, alcool e problemi di denaro, senza poter piu' contrapporsi alla violenza dei pregiudizi. Tanto che ne' la decisione di mostrare a testa alta il proprio talento emancipandosi dal circo per approdare in teatro, ne' l'amore per una dolce infermiera riescono a salvarlo dalla rovina.

Da schiavo a star, da anonimo e reietto a celebre clown, e poi ancora catapultato nella poverta' e nella discriminazione: la parabola di Chocolat tocca il paradiso e l'inferno, scontrandosi da un lato con l'ottusita' della societa' di primo '900, dall'altro con la sua stessa rassegnazione a una diversita' sancita e "giustificata" dal colore della pelle. Una storia dolceamara, dunque, quella scelta dal regista, che tuttavia sottolinea la volonta' di raccontarla "senza vittimizzazione ne' pathos, ma solo mostrando un uomo con i suoi momenti di grandezza e decadenza. Chocolat si godeva la vita e approfittava di cio' che essa in quel momento gli dava. Io ho cercato di far dimenticare il colore della pelle". Sebbene nella vicenda siano stati introdotti alcuni elementi di fiction (come l'incontro con Footit, in realta' avvenuto a Parigi, e l'esperienza della prigione "che serviva a dare al personaggio un carattere militante", prosegue Zem), il film svela "la Francia dell'epoca e i suoi rapporti con gli stranieri".

Ed e' in questo che si innesta il legame con il presente dell'Europa: "Sembra di vedere cio' che accade oggi con gli immigrati: noi chiediamo loro di assomigliarci e non li accettiamo per quello che sono", afferma, spiegando pero' che "i parallelismi del film con l'attualita' sono involontari: nella scena della prigione volevo creare un'eco con la ghettizzazione del presente, ma poi mentre giravo accadde l'attentato a Charlie Hebdo. L'attualita' e' sempre un passo avanti a noi, va piu' veloce". "Diversita' non e' solo il colore della pelle, ci sono altri fattori come l'etnia, il sesso, l'handicap", conclude, "questo clown non aveva stato civile ne' nome, e fu sepolto come Chocolat: tento' di fare teatro e cinema, ma non riusci' mai ad aver altro ruolo di quello che aveva al circo. Lui in fondo sapeva solo far ridere".(ANSA).

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