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Scoperte e segreti, la missione italiana in Cappadocia

A Maria Andaloro Sigillo del 31/o Premio Scarpa per il Giardino

"La prima volta? Devi solo lasciarti sedurre. Dalle forme di onde pietrificate, dai coni di tufo. Dalle pareti che cambiano colore, dal rosso al verde al giallo. Poi incontri una porticina e pensi che non possa esserci nulla lì dentro. E invece…". Dopo tanti anni è ancora rapita da tanta bellezza la storica dell'arte Maria Andaloro, ideatrice e coordinatrice della missione di ricerca che fa capo all'università della Tuscia e che dal 2006 lavora tra Italia e Cappadocia per il recupero e il restauro di alcune tra le più belle chiese rupestri di quell'angolo incantato di Turchia. Proprio alle due valli contigue scavate nella roccia vulcanica, la Valle delle Rose e la Valle Rossa (in lingua turca Güllüdere e KÕzÕlçukur) il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche dedica il 31/o Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino affidando alla Andaloro il Sigillo 2020-2021 (questa edizione è eccezionalmente biennale causa Covid) per il prezioso lavoro, che coniuga "sviluppo e trasmissione costante di attenzioni e saperi con la crescita di uno sguardo sul paesaggio in chiave di appartenenza e di responsabilità".

Da sempre ponte per culture diverse tra Asia ed Europa, la Cappadocia si estende al centro della penisola anatolica, con i suoi altipiani a mille metri, circondata da vulcani imponenti. Il suolo è arido, scavato dall'acqua e dal vento, il clima difficile. Eppure è proprio qui che, fin dal I secolo d.C., il Cristianesimo trova la sua roccaforte in Asia Minore, moltiplicando per più di un millennio insediamenti eremitici e monastici, chiese e santuari scavati nella roccia e dando vita a un capitolo unico dell'arte bizantina e mediorientale, con stupefacenti cicli pittorici dove la devozione va di pari passo alla ricchezza della narrazione e dei colori. "Per intendersi - racconta la Andaloro all'ANSA - in un territorio grande quanto una provincia del Lazio ci sono più di 300 chiese, 200 sono quelle completamente dipinte. E non è detto che non se ne scoprano altre. Si narra soprattutto la vita di Cristo - prosegue -, aneddoti dei Vangeli apocrifi, l'Apocalisse, in un moltiplicarsi di episodi, anche festosi, che rivestono la roccia come una seconda pelle. Quasi un fumetto a puntate". Qui il team italiano, composto da studiosi, restauratori, ma anche architetti, geologi, speleologi, agronomi, può arrivare fino a 40 esperti, collaborando ogni anno con professionisti turchi, "perché l'obiettivo è anche lasciare il nostro sapere".

Prima avventura, tra il 2007 e il 2013, nella Chiesa dei Quaranta Martiri a Sahinefend, chiamata così per la più importante delle sue raffigurazioni: 40 uomini condannati a immergersi coperti solo di un perizoma nelle gelide acque del lago. "Il nero fumo oscurava gran parte delle scene - racconta la Andaloro -. Abbiamo studiato un anno per capire come rimuoverlo senza danneggiare ciò che era sotto". Poi, lentamente, sotto le dita dei restauratori, la meraviglia di nuove scoperte, "come le ondine delle acque, dipinte una a una" e la nuova datazione delle pitture, che racconta di una chiesa dipinta "non più in un unico momento, ma in quattro fasi distinte fra VII secolo circa e il 1216-12017", dipingendo scene sopra altre. La sfida ora è la Chiesa Nuova di Tokali, visitatissima dai turisti e nel pieno del sito Unesco, scavata nello stesso cono della Chiesa Vecchia, con dipinti di metà X secolo. Un'opera ricchissima, "commissionata dai tre fratelli della famiglia Foca, uno dei quali, Niceforo, diventerà Imperatore nel 963". Per realizzarla non badarono a spese: "Artisti non locali e non cattolici, fatti arrivare probabilmente dalla grande Costantinopoli, e largo uso di materiali preziosi. Abbiamo ritrovato lamine d'oro per l'aureola della Vergine, argento per dettagli della figura di Cristo e gran dispendio del costosissimo lapislazzulo".

Qui la missione dell'università della Tuscia è impegnata "dal 2011, insieme al Museo archeologico e al Laboratorio regionale di restauro di Nevsehir. Ma siamo appena a un terzo del lavoro. Ogni metro dipinto è come dieci di una nostra chiesa. Stiamo studiando il registro iconografico e le fasi di escavazione", ma soprattutto "le tecniche utilizzate". Perché, prosegue la Andaloro, "i problemi qui sono il distaccamento delle pitture e le cadute di colore, ma è singolare che i volti dei personaggi siano molto più deteriorati dei corpi". E chissà che anche questo dettaglio non celi nuove storie.

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