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Palazzo Venezia, restaurata la sala delle Fatiche di Ercole

Per riapertura il 27/5 visite guidate gratuite a ciclo affreschi

Dopo un attento intervento di restauro, durato sei mesi, torna a splendere dopo quasi 50 anni la Sala delle Fatiche di Ercole, cuore quattrocentesco di Palazzo Venezia. Il magnifico soffitto ligneo decorato e il ciclo di affreschi della finta loggia sono stati così restituiti a una corretta lettura degli ambienti privati, voluti dal cardinale veneziano Pietro Barbo (poi Paolo II), denotando la mano di botteghe del nord Italia, di scuola mantegnesca.

Presentato alla stampa dal direttore del Polo Museale del Lazio Edith Gabrielli, il restauro è stato finanziato dalla Fondazione Silvano Toti che ha investito circa 150.000 euro nell'intervento eseguito da Rita Ciardi e Isabella Righetti di 'Officina', mentre la parte scientifica è rimasta in mano a Sonia Martone e Paolo Castellano del Polo Museale del Lazio. "Una collaborazione proficua ed eccellente", ha detto Maria Teresa Toti, ricordando che il 27 maggio, in occasione della riapertura della Sala, sono in programma visite guidate gratuite (dalle 10.00 alle 18.00, ogni mezz'ora e senza prenotazione). Del resto, nei sei mesi di lavori, ha detto il direttore del Museo di Palazzo Venezia Sonia Martone, il cantiere è rimasto aperto al pubblico, e anche per gli studiosi si è configurato come un "cantiere della conoscenza", in quanto "attraverso il completo recupero degli affreschi della sala è ora possibile comprendere la vera anima della costruzione del palazzo, il primo a Roma a essere pienamente rinascimentale".

Riportata al proprio equilibrio cromatico, la loggia che riemerge dalle ridipinture del passato collega quel primo nucleo della dimora storica persino con il giardino, riaperto un anno fa, fino a presentare Palazzo Venezia nel suo insieme, quasi come "un organismo". L'ultimo intervento sulla Sala delle Fatiche di Ercole era stato compiuto nel 1970, ha spiegato Paolo Castellano, ma in questi 50 anni "la decorazione a fresco era andata offuscandosi, con notevoli alterazioni cromatiche per l'invecchiamento delle vernici e resine usate all'epoca". In molti punti "si rilevava anche il sollevamento dell'intonaco, con il rischio di distacco, quindi bisognava intervenire al più presto", ha proseguito, sottolineando come la materia pittorica originaria fosse ormai danneggiata. Le ridipinture del passato avevano infatti maggiormente inciso in due punti nodali dell'opera: nel finto cornicione rosso alla base delle scene che si susseguono narrando le fatiche del semi-dio greco e nei cieli che fanno da sfondo. I restauri novecenteschi non erano stati eseguiti con crismi filologici, quindi i cieli delle nicchie erano stati ricoperti di blu prussia, un pigmento sintetico, che annullava la leggerezza ariosa dell'affresco tipicamente quattrocentesco e creava, con la sua piattezza, una sorta di finto, piatto fondale. Dopo alcuni saggi in porzioni della decorazione, è stata quindi trovata l'originaria azzurrite, che ricca com'era di cristalli naturali, conferiva una grande luminosità all'insieme, ora quasi ovunque riconquistata.

Il riequilibrio cromatico e stilistico dell'intero ciclo si è consolidato eliminando la fascia che in basso nascondeva il movimento di gambe e piedi, e che azzerava l'effetto prospettico di straordinario impatto. Forse opera delle botteghe mantegnesche del nord Italia, attive in Veneto.

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