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Le connessioni invisibili di Renato Mambor

Dal 9/2 a Milano 80 capolavori del pioniere del concettuale

ROMA - Grande e indimenticato pioniere del secondo '900, Renato Mambor è al centro di un'attesa retrospettiva allestita dal 9 febbraio al 27 marzo a Milano, negli spazi della Galleria Gruppo Credito Valtellinese - Refettorio delle Stelline. Esposte circa 80 opere dell'artista romano scomparso nel 2014, capaci di mettere in luce la poliedrica produzione di una personalità tra le più originali e complesse dell'arte italiana del XX secolo. Con il titolo 'Renato Mambor. Connessioni invisibili', l'importante rassegna apre la nuova stagione della sede espositiva milanese (diretta da Cristina Quadrio Curzio e Leo Guerra), che anche per il 2017 intende approfondire l'indagine condotta già negli anni precedenti sul contemporaneo storico nelle sue più diverse espressioni, dall'arte alla grafica, alla fotografia alle arti applicate.

Un intento che si sposa perfettamente con la figura di Mambor, che dichiarava: ''Voglio fare di tutto, ballare, cantare, scrivere, recitare, fare il cinema, il teatro, la poesia, voglio esprimermi con tutti i mezzi, ma voglio farlo da pittore perché dipingere non è un modo di fare ma un modo di essere''. La selezione messa a punto dalla curatrice Dominique Stella ha puntato dunque a testimoniare il dinamismo creativo di un'artista in continua evoluzione, che non ha mai smesso di approfondire la propria incessante ricerca espressiva allargandola a tutto tondo, senza paura di limiti e steccati ideologici. Tra i massimi rappresentanti della ricerca nelle arti visive dagli ultimi anni'50, Renato Mambor è stato quindi uno dei primi a sconfinare dalla pittura verso altri linguaggi: fotografia, cinema, performance, installazioni e il teatro, per tornare comunque sempre alla pittura. E proprio continuando a lavorare sul linguaggio e sugli elementi costitutivi dell'arte, è riuscito ad avviare una sperimentazione sul rapporto tra organismo e ambiente, tra arte e vita, sul cambiamento dello sguardo e dei punti di vista, sulle relazioni interne ed esterne, su separazione e unità. Mambor, negli oltre 55 anni di impegno artistico, ha rinnovato instancabilmente le forme e approfondito la conoscenza di sé, inventando dispositivi di comunicazione che coinvolgessero lo spettatore, lasciando opere, anche inedite, di grande valore per la contemporaneità.

A questo mira la mostra milanese, grazie a una scelta puntuale di opere significative del maestro, cresciuto con la Scuola di Piazza del Popolo, compagno di strada di Schifano, Angeli, Festa, Fioroni e molti altri, capace, dice Dominique Stella ''di cogliere lo spirito di un'epoca, trasmettendo al tempo stesso la propria visione delle cose''. Ecco dunque che il percorso espositivo ripercorre ''gli aspetti più eterogenei della produzione dell'artista'', dalle prime opere degli anni '60 (gli Uomini Statistici, i Timbri, i Ricalchi) ai lavori concettuali che seguirono (i Rulli, il Filtro, l'Evidenziatore) passando per il periodo teatrale della Trousse, luogo di ricerca e di sperimentazione all'inizio degli anni '70 fino al 1989, ''la cui storia è ripercorsa a partire da fotografie e da oggetti''. Non mancano l'Osservatore, il Viaggiatore, il Pensatore, realizzati negli anni '90 fino a giungere ai lavori più recenti come i Separe', che approfondiscono la tematica, diventata cruciale per l'artista, della dualità. La mostra prende le mosse dal lavoro sviluppato da Renato Mambor a partire dall'inizio degli anni '60, quando riflette sulla relazione con il reale, ''mette in evidenza i legami, immagina le relazioni invisibili che presiedono alla percezione e per questo egli mette innanzitutto in scena l'oggetto'', quello ordinario, seriale, introducendo nella propria opera L'uomo statistico, ''valutazione quantitativa di una rappresentazione umana ridotta a un segno''. A illustrarlo, opere come 'Oggetto verde' (1960), 'Le molle replicate' ('60), 'Segnali' ('61), 'Spettatori e timbri' ('62), 'Ultimo Giorno' ('63), 'Flipper' ('65). E se la rassegna rende conto dell'ampia parentesi dell'impegno teatrale con Trousse, si arriva agli ultimi decenni quando, con la serie dell'Osservatore, Mambor decide di ''modificare lo sguardo e creare lo spazio tra l'uomo e l'ambiente''.

Punto centrale di un lungo percorso è il concetto di dualismo, da cui l'uomo esce non come ''un'entità dominante, definita al di fuori del proprio ambiente, ma ne è parte integrante''. Il percorso si conclude con una grande installazione del 2013, intitolata 'Re di Cuori', composta da cinque sculture, sagome ieratiche che portano al posto del cuore, su piccole mensole, cuori in materiali diversi (cuoio, ceramica) e un metronomo. Opera al tempo stesso metafisica e gioiosa, ribadisce l'ardente desiderio dell'artista di non lasciare mai spazio alla disillusione e al cinismo, costituendo sempre con i propri lavori ''una fonte di ricerca della Conoscenza''.

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