(di Silvia Lambertucci)
(ANSA) - ROMA, 25 GIU - Il color porpora delle pagine messo a
punto in laboratorio con una mescola sapiente di licheni e
carbonato di sodio, le tinte eclatanti delle figure ottenute da
lapislazzuli e lacca di sambuco, in un solo caso dal cinabro,
pietra rarissima nell'oriente del VI secolo. E poi le pergamene,
tirate con maestria dalle pelli di decine e decine di agnelli,
tagliate e rilegate con incredibile professionalità.
A quindici secoli dalla sua creazione sui banchi di uno
scriptorium bizantino, le analisi condotte dall'Istituto
Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio
Archivistico e Librario (Icrcpal) svelano molti segreti del
Codex Purpureus Rossaniensis. E mentre si conferma il valore
inestimabile dell'evangelario, si dipana finalmente un po' del
mistero che lo avvolge da quando a metà '800 venne ritrovato a
Rossano, nella Sacrestia di Maria Santissima Achiropita.
Certo, dalla sua creazione al ritrovamento ottocentesco
rimane un 'buco' di secoli. Ed ancora oggi è ben difficile
accertare come dalla Siria o dall'Anatolia il prezioso libro,
sicuramente commissionato per un papa o un imperatore e
inizialmente tempestato di gemme preziose, sia arrivato in
Calabria, forse portato nell'VIII-IX secolo dai monaci in fuga
dalla furia iconoclasta. Ma oltre due anni di analisi, indagini
e delicati restauri hanno comunque permesso di ricostruire
tantissimo della sua storia e persino dei tarli che in passato
ne hanno aggredito la copertina lignea e alcune delle pagine. Il
Codice, raccontano all'ANSA gli esperti, era già stato
all'Icrcpal nel 1987 per un sospetto attacco fungino. Nel giugno
2012 la nuova trasferta, per studi e restauri resi necessari
anche dalle condizioni della rilegatura rifatta negli anni '50.
Sottoposto a un procedimento di 'archeoanalisi', spiega la
responsabile del laboratorio di Biologia M.Carla Sclocchi, il
maestoso librone si è rivelato sano, anche se porta i segni di
una aggressione di insetti anteriore al 1898, data delle prime
fototipie in bianco e nero.
Importanti novità sono arrivate dalle analisi chimiche, che
hanno confermato l'epoca del documento, tutto riferibile al VI
secolo, nonché la sua provenienza orientale, ricostruendo i
materiali usati. Si è scoperto così che la 'porpora' con cui
sono state tinte le pergamene non è quella raccolta dai
molluschi (come la porpora di Tiro per intenderci) bensì un
composto di origine vegetale, che la responsabile del
laboratorio di Chimica, Marina Bicchieri, ha riprodotto
sperimentando antiche ricette. "Alla fine ho trovato quella
giusta", racconta la dottoressa. Il segreto di quel rosso
violaceo che rende così sontuose le pagine del Codex, rivela, è
in un composto di Roccella Tinctoria ("un lichene molto diffuso
in quella zona") e carbonato di calcio.
E non basta, perché analizzando i colori delle miniature, si
è scoperto che i monaci hanno usato anche la "lacca di sambuco",
un colorante ottenuto dalle bacche che non era mai stato
identificato in un manoscritto così antico. Fisici, biologi,
chimici, restauratori hanno passato al setaccio le 188 pagine
rimaste e trovato traccia di tutte le traversie subite nei
secoli dall' evangelario, dai rimaneggiamenti fino all'incendio
dal quale chissà quando è stato salvato e nel quale forse sono
andati perduti i vangeli di Luca e Giovanni. Una fattura di
altissimo livello a partire dalla qualità delle pergamene, hanno
concluso concordi. Realizzato in un laboratorio artigiano di
grande competenza tecnica, il Codex era da subito destinato a
durare.