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Photoshow, le foto tra grandi mostre e social network

Alessandra Mauro, i selfie non seppelliranno i grandi fotografi

 Entrare in un museo dalla porta principale. Un'aspirazione ormai superata dalla fotografia che oggi fugge via, vuole restarne fuori. Lo racconta 'Photoshow' (pp. 272, euro 45) in cui per la prima volta la storia della fotografia viene raccontata attraverso le grandi mostre internazionali, dal 1839 al 2001, guardando alla nascita dei social network.

Il libro, pubblicato da Contrasto in doppia edizione, in italiano e inglese (per il mercato americano), è a cura di Alessandra Mauro, che ha sviluppato questo ambizioso progetto individuando 11 casi, con illustrazioni d'epoca e immagini degli allestimenti e con i contributi di studiosi internazionali da Gerry Badger a Quentin Bajac a Michel Frizot e Alessia Tagliaventi, e con un'intervista alla moglie di Salgado, Lelia Wanick Salgado.
   

"La scommessa prima era entrare in un museo, adesso è fregarsene del museo. Trovare un modo significativo di raccontare la realtà, come fa il fotografo di strada JR che ha incollato sul muro di Gerusalemme, che separa Israele e Palestina, venti foto di persone spaventate" dice all'ANSA la Mauro che è direttrice editoriale di Contrasto e artistica della Fondazione Forma per la Fotografia di Milano e ha curato numerose mostre e pubblicazioni dedicate alla fotografia. "Ho individuato - spiega la curatrice del libro - 11 casi dalla nascita della fotografia fino al 2000, quando la foto esplode come linguaggio, senza arrivare proprio a oggi, perché è necessario lasciare un minimo di distanza. Ho cercato delle mostre che rappresentassero dei punti di svolta nel mondo delle esposizioni fotografiche. Non ci sono, per dire, quelle di Cartier-Bresson perché le sue mostre sono le più tradizionali".
   

Ecco dunque, partendo dai dagherrotipi, la prima mostra fotografica a Parigi nell'agosto del 1839, le esposizioni in saloni di aste per scopi benefici con le foto sistemate in quadreria, la prima grande esposizione universale al Crystal Palace di Londra nel 1851, fino alla mostra del 2001 'Here is New York' sull'11 settembre. La Mauro fa vedere come curare mostre fotografiche significhi sempre affrontare sfide, come è accaduto con Sebastiao Salgado negli anni '80. "Salgado pensava ad un progetto fotografico in cui era anche curatore delle sue mostre insieme alla moglie" racconta la Mauro che in 'Photoshow' propone un'interessante intervista a Lelia Wanick Salgado. "Non si tratta solo di lavoro, ma di vita, della nostra vita" dice la signora Salgado parlando di questi progetti, fra cui l'ambizioso Workers.
Nel libro anche la mostra del 1955 'The family of man' al MoMa di New York che nel 1955 ha battuto tutti i record di pubblico del Museo per le esposizioni di arte contemporanea. "Una mostra sociale, un po' retorica, che dopo la guerra raccontava come il mondo sia vario e grande ma come noi facciamo tutti parte della stessa famiglia" dice la Mauro.
 

L'Italia purtroppo resta fuori: "Non è all'avanguardia nella fotografia. Ci sono bravissimi fotografi - sottolinea la curatrice del libro - ma dove si trova il nostro museo nazionale o comunale della fotografia? C'era stato un tentativo di farne uno a Cinisello Balsamo, ma, con tutto il rispetto, non mi sembra un luogo molto rappresentativo. In Italia le istituzioni faticano e anche quando si fa una mostra di foto al Maxxi di Roma il dipartimento di riferimento è quello di architettura. A Parigi, per citarne uno, c'e' il Jeu de Paume consacrato dallo Stato come museo della fotografia".
   

Il futuro? "Il grande fotografo non verrà sotterrato da migliaia di selfie" dice la Mauro che sta già pensando ad un seguito di Photoshow in cui racconta come la fotografia è "andata a conquistare spazi esterni, a partire dai murales anni '30". La nuova via, sempre più virtuale, digitale, è stata aperta "dalle immagini dell'11 settembre esposte in 'Here is New York' che servivano per elaborare il lutto attraverso le foto, in una specie di riconoscimento e condivisione simile a quello che succede con i social network. E, il massimo del virtuale porterà a una ricerca di maggior contatto umano. Come con la musica: meno negozi di dischi ma più concerti" conclude. (ANSA).
   

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