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Cultura
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Dov’è il centro del mondo?

di Jeanette Winterson

Qualche domanda e risposta, desunte dall’opera italiana

Conoscete la storia. Guglielmo e Ferrando amano due sorelle, Dorabella e Fiordiligi. Mentre i due giovani cantano le virtù delle loro innamorate, arriva il vecchio Don Alfonso, così cinico da sostenere che una donna fedele è come l’Araba fenice, tutti ne parlano, ma qualcuno per caso sa dov’è?

E sprona i due innamorati a scommettere sulla fedeltà delle loro promesse spose.
Guglielmo e Ferrando accettano la scommessa e decidono di metterle alla prova. E fingono di partire per il fronte – con lacrime, lamenti e dichiarazioni di amore eterno – solo per tornare immediatamente, travestiti da ufficiali albanesi, smaniosi di corteggiare le ignare Dorabella e Fiordiligi.
Despina, la domestica, in combutta con Don Alfonso, consiglia alle padroncine di concedersi un’avventura, fintanto che sono ancora in tempo: bando alle illusioni, cosa credono che stiano facendo in questo momento i loro fidanzati?
Quando i due Albanesi minacciano di avvelenarsi se Dorabella e Fiordiligi non si arrenderanno alla loro corte, le due ragazze acconsentono a civettare un po’ con loro, e in men che non si dica si ritrovano innamorate, ma questa volta l’una del fidanzato dell’altra.

E, mentre Dorabella e Fiordiligi si apprestano a sposare i loro nuovi innamorati, Guglielmo e Ferrando fanno ritorno. È un bel problema, che si complica ulteriormente quando i due giovani leggono i contratti di matrimonio.
A quel punto, non hanno altra scelta che svelare il loro travestimento, e l’opera si chiude con uno sgradevole lieto fine, in cui apprendiamo che, ahinoi, tutte le donne sono così, mutevoli nei loro sentimenti, sessualmente incostanti, inaffidabili.
Così fan tutte?

Ma cosa è realmente accaduto?
C’è sempre una storia dentro la storia.
Dorabella e Fiordiligi hanno imparato che sono gli uomini a essere inaffidabili. Quando i loro innamorati partono senza preavviso, loro non si tolgono la vita, come ogni eroina che si rispetti, come hanno fatto Cleopatra e Didone. Ve la ricordate Didone? Enea la convince ad amarlo, poi fugge per inseguire un destino più nobile, per andare a fondare quella benedetta città, Roma. Ma perché non ha portato con sé Didone sulla barca? di spazio ce n’era a sufficienza.
No. Dorabella e Fiordiligi capiscono che non è una buona idea mettere un uomo al centro del tuo mondo. Puoi amarlo. Adorarlo. Andarci a letto. Sposarlo. Ma guai a fare di un uomo il centro del tuo mondo.
Dal momento che Dorabella e Fiordiligi vivono nel diciottesimo secolo, non conoscono Gladys Knight and the Pips, e di certo non hanno scaricato questa canzone sul loro Ipod.


I’d rather live in his world than live without him in mine (her world is his world)
(Trad. Preferirei vivere nel suo mondo che vivere senza di lui nel mio (il mondo di lei è quello di lui)).

Chi avrebbe mai detto che Mozart si sarebbe rivelato più femminista della casa discografica Motown?
In realtà credo che il vero femminista sia stato Lorenzo Da Ponte, il suo librettista italiano. Da Ponte era un veneziano, nato ebreo e cresciuto nella fede cattolica. Si era fatto prete ed era stato esiliato da Venezia per “sequestro di una donna rispettabile”, proprio il genere di pasticcio in cui finisci per ficcarti sei vuoi essere uno scrittore.
Così fan tutte è una versione di copertura, una rielaborazione di parti del Decamerone, in cui ci si trastulla con l’antica convinzione che le donne, creature sessualmente insaziabili, debbano essere tenute a freno: la donna è, dopo tutto, la Grande Madre, e l’uomo è solo il suo consorte. Non prendetevela con me, sto solo spiegandovi un po’ di storia dell’antichità.
Comunque, tutte le volte che una vecchia storia diventa oggetto di una versione di copertura, si arricchisce di nuovi dettagli e noi comprendiamo quella storia in un modo diverso. Ecco perché continuiamo a raccontare storie, a creare arte, perché abbiamo bisogno di ricordare il passato e di ricreare il presente.
Come succede con ogni bravo scrittore, Da Ponte può essere interpretato in modi diversi. Come un riduzionista, un misogino, un buontempone, un dongiovanni, e, come accade con ogni bravo scrittore, si può leggere oltre e attraverso la sua storia stampata sulla pagina, per arrivare alle altre storie, dette e non dette, che vi sono contenute.
Il centro del mondo non è uno solo. Il centro del mondo non è una storia.
A meno che tu non ti chiami Don Giovanni.

 

Grasse, magre, vecchie, giovani, rosse o nere, e perfino suore. Don Giovanni indossa la maschera del massimo conoscitore di donne. In realtà per lui una o l’altra pari sono. Purché porti la gonnella voi sapete quel che fa.
Il musical di Berlusconi.
Potete considerare Don Giovanni, Don Juan, come il più focoso degli amanti, o come il più vacuo degli uomini. Solo un uomo così vuoto può avere bisogno di rimpinzarsi di donne. Dal punto di vista sessuale, il suo scopo è penetrare dentro di loro, ma, dal punto di vista emotivo, lui vuole farle entrare dentro di sé.
Per lui il sesso è una forma di consumo.
Perché più ci svuotiamo, più consumiamo.
Ma questo consumo sfrenato non si limita al sesso: può riguardare anche il cibo, o lo shopping compulsivo. A livello globale, riguarda il modo in cui ci abbuffiamo delle risorse del nostro pianeta. Lo trivelliamo. Lo prosciughiamo. Lo fottiamo.
Le donne in Don Giovanni ricoprono lo stesso ruolo delle donne in Così fan tutte: il loro compito è mettere a nudo il comportamento degli uomini.
Che razza di uomo è mai quello che sprona gli altri uomini a diffidare delle donne? Che razza di uomo è mai quello pronto a tradire la donna che dichiara di amare? Un uomo di tal fatta è talmente estraneo ai veri sentimenti e alle emozioni sincere che solo la conquista compulsiva delle donne lo fa sentire vivo.
La condizione delle donne nella società è un buon indicatore di quanto quella stessa società si sia evoluta in termini di sviluppo umano. Le donne sono istruite? Hanno diritto di voto? Possono scegliersi il proprio compagno? Hanno diritto al possesso dei beni? Nel mondo occidentale la risposta è sì, grazie a cento anni di splendido progresso. Ma ora quel progresso si è arrestato. Non mi riferisco solo a questioni come la parità di salario o l’accesso alle posizioni di potere. Mi riferisco al nuovo campo di battaglia.
Il nuovo campo di battaglia è il nostro corpo.
Perché le donne odiano il loro corpo? Perché la chirurgia estetica è un’industria in grande espansione? Perché i disturbi alimentari sono in aumento? Perché le donne sono sempre a dieta? Perché vengono giudicate secondo il loro aspetto fisico? Perché una donna in spiaggia non può mostrare un solo pelo sotto la linea delle sopracciglia? Perché quasi tutte le presentatrici televisive hanno meno di quarant’anni? Perché tutte le foto delle modelle sono ritoccate con Photoshop, al punto da trasformarle in mostri anatomici? Con quelle gambe troppo lunghe, la vita troppo stretta, le labbra come un pesce rosso?
Siamo a disagio di fronte alle quotidiane manifestazioni di fervore religioso che costringono le donne a coprirsi da capo a piedi, e rimaniamo perplesse quando alcune di loro sostengono che il velo è un segno di libertà e che a loro sta bene così.
E perché, invece, non ci mettono a disagio tutti quei corpi di donna semisvestiti che ci fissano da ogni cartellone pubblicitario? Quando i siti porno ci fanno credere che il sesso vero abbia a che fare con le immagini di prestanti giovanotti che umiliano le donne in completi intimi fetish? Perché non scuotiamo la testa, increduli, quando le lavoratrici del sesso ci dicono che quella è la vita che si sono scelte. (Mamma, quando divento grande, voglio denudarmi ed essere imbavagliata e ammanettata da uno sconosciuto che mi sborra tra i seni su un sito porno a pagamento.)
Sì, noi donne possiamo avere delle proprietà. Ma non possediamo il nostro corpo. Se lo possedessimo, non ci sarebbero stupri, né delitti d’onore, né matrimoni forzati, né violenza tra le mura domestiche, né infibulazione. E neppure tette rifatte, visi liftati, né pubblicità assurde, ritoccate con Photoshop. Finito una volta per tutte il maligno sfruttamento dell’industria pornografica. E le donne non sarebbero più trattate alla stregua di merci.
E solo allora Don Giovanni imparerebbe ad amare.

 

Tosca sa che Scarpia la violenterà non appena avrà finito di cantare. E perciò lo uccide.
Floria Tosca. La musica è di Puccini, che amava talmente tanto le donne da farle morire tutte entro il terzo atto, con una sola eccezione, di cui parlerò in seguito.
Tosca. Il centro della sua vita non è il pittore Mario Cavaradossi, anche se lo ama tanto da uccidere per amor suo e da morire per lui. Il centro della sua vita non sono i giochi di potere degli uomini. Il centro della sua vita è l’arte ed è l’arte che lei offre come baluardo contro l’odio, contro il potere e la lussuria.
Che cosa significa mettere l’arte al centro della nostra vita? Vuol dire per forza essere un’artista? Lavorare nel campo dell’arte? Leggere un libro tutti i giorni? Niente affatto. Bisogna pensare all’arte in termini di creatività, mettere la creatività al centro della nostra vita.
E noi siamo tutti creativi. Le nostre definizioni di creatività sono troppo limitate, esclusive ed escludenti. Creatività è preparare un buon pranzo. Creatività è costruire un’altalena per nostro figlio. Creatività è conversare con un’amica mentre ci scambiamo le nostre opinioni bevendo una buona bottiglia di vino. Creatività è saper vestirsi bene anche se non hai un soldo. C’è creatività nella scienza, negli affari, nella vita familiare, in noi.
Siamo nati creativi, ma poi il sistema scolastico, il sistema sociale e politico cercano di sottrarcela. Tutti i bambini nati su questo pianeta, in ogni tempo e luogo su questo pianeta, vogliono farsi raccontare una storia, cantare una canzone, ballare, costruire casette coi sassolini e regni con le pentole, colorare un disegno, immaginare un mondo. E dopo che li abbiamo privati di questa creatività innata, o l’abbiamo trascurata e lasciata morire, diciamo che l’arte è elitaria, antidemocratica, e che non deve essere finanziata. Non sono solo i politici di destra a sostenerlo, ma anche la gente comune, che non ricorda cosa ha perduto.
E quella gente dirà che abbiamo bisogno di cure sanitarie, di case e di lavoro, come se la creatività fosse un lusso e non la vera espressione della nostra umanità.
È una scelta assurda, come se ci chiedessero di scegliere fra le gambe e le braccia. O tra gli occhi e le orecchie.
Perché mai non possiamo avere un lavoro e una casa e anche il tempo di giocare con i nostri figli e di mangiare con i nostri amici? Il gioco è creativo. Il cibo è creativo.
Perché non possiamo avere ospedali e servizi sociali ma anche teatri, opere, concerti, libri e lezioni di musica a scuola?
La nostra classe politica codarda, schiava dei grandi affari, crede che noi siamo qui per soddisfare i bisogni del capitalismo, che concentra immense ricchezze nelle mani di poche persone. Abbiamo bisogno di un sistema economico diverso, che riconosca i bisogni della maggioranza e non quelli di una ristretta cerchia.
Un dipinto di Caravaggio nel museo. Il disegno di nostro figlio appeso al frigo. Floria Tosca sul palcoscenico. La donna che canta mentre pulisce i vetri. Fellini. Il ragazzino che gira un film sul suo iPad. Questa è la continuità creativa. E ai meravigliosi estremi di questa continuità ci sono le più grandi opere d’arte della storia e le scoperte scientifiche, ma dentro questa continuità c’è il nostro spirito creativo e la nostra risposta allo spirito creativo degli altri.
Gli esseri umani sono spontaneamente creativi. È nel nostro DNA.
Così, se vuoi essere al centro della tua vita, devi trovare la tua creatività innata. È da lì che tutto ha origine, dall’atto creativo primario che ci permette di avere figli, di diventare genitori.
Perché costringiamo le donne a scegliere tra le loro famiglie e le loro carriere? Perché facciamo in modo che sia così difficile per gli uomini passare del tempo a casa?
Oggigiorno il problema della politica è che nessuno formula la domanda più ovvia: di cosa hanno bisogno gli esseri umani?
Certamente voi avrete il vostro elenco di priorità, ma credo che saremmo tutti d’accordo nel fissare alcuni punti. Quello di cui abbiamo bisogno è una casa, il denaro sufficiente per mantenere la nostra famiglia, la possibilità di accedere all’istruzione, una giustizia uguale per tutti, il diritto di vivere in città sicure. E la possibilità di dare un senso alle nostre vite, perché siamo più evoluti degli animali.
Ma come potremo dare un senso alle nostre vite se siamo costretti a fare due lavori per sfamare i nostri figli? Che speranza abbiamo di esprimere la nostra creatività quando facciamo fatica a tirare avanti?
L’economia non collasserà se pagheremo ai lavoratori un salario sufficiente per vivere. L’economia è già collassata. Non sono stati i poveri a farla collassare, ma i ricchi, determinati a diventare sempre più ricchi.
Sin dai tempi del movimento per l’abolizione della schiavitù, le forze reazionarie ci hanno detto che l’Armageddon economica è il prezzo della giustizia sociale. Oggi l’amministratore delegato di MacDonald ha una busta paga di dieci milioni di dollari. E l’azienda di cui lui è a capo sostiene che non può pagare i suoi lavoratori otto dollari all’ora.
Andate per strada. Osservate i bambini: loro ancora non sanno che questo mondo non gli appartiene. Prendete in braccio una bambina. Raccontatele una storia. Raccontatele una nuova storia. Non dovrà diventare una principessa o una pornostar. Ditele che non dovrà sposare uno ricco. Non dovrà fare due lavori. Dite a quel bambino che il tesoro nascosto esiste davvero e che lo aiuterete a trovarlo.
Io scrivo romanzi. Credo nel potere delle storie, nelle storie che raccontiamo agli altri e in quelle che raccontiamo a noi stessi. Possiamo cambiare la storia perché noi siamo la storia.
Il nostro modo di vivere odierno non è una legge, simile alla legge di gravità, ma è un calcolo proposizionale.

 

Minnie gestisce un locale ai piedi delle montagne della Serra Nevada. I suoi clienti sono rozzi cercatori d’oro che sperano in un colpo di fortuna. Sono tutti innamorati di lei e ognuno di loro si illude di essere il suo favorito. Ma Minnie non ha favoriti: li ama tutti e al tempo stesso non ama nessuno. Quando la neve troppo alta li costringe al chiuso, Minnie gli insegna a leggere e a scrivere.
Ma è arrivato un pericoloso bandito, di nome Ramerrez, e ovunque spuntano i cartelli con la scritta RICERCATO. Minnie ha nascosto l’oro nella botte dell’acqua, dove lui non lo troverà mai.
Una notte, uno sconosciuto si presenta nel suo locale: dice di chiamarsi Johnson, e di venire da Sacramento. Chiede a Minnie: Ti ricordi di me? Lei risponde: Se tu ti ricordi di me.
Noi appaltiamo la memoria, affidandola al nostro Smartphone, al nostro computer portatile. La memoria vive in una Nuvola, come una Dea romana.
Ma quel che ricordiamo e quel che dimentichiamo è ciò che conta davvero.
Oggigiorno tutta l’Europa rischia di dimenticare quel che è successo nella Seconda Guerra Mondiale, di dimenticare la società più giusta e più libera che ci siamo impegnati a costruire quando quella guerra è finita.
Il problema dell’immigrazione. Questa volta non possiamo prendercela con gli ebrei, ma ce ne sono tanti altri, là fuori, con cui possiamo prendercela.
Ma cos’è l’immigrazione? Ve l’immaginate l’America senza italiani? E come vivremmo in Inghilterra senza il cibo italiano o la moda italiana? E perché mai l’Australia ha dovuto sorbirsi i galeotti che gli inglesi hanno scaricato sulle sue coste? E l’India per caso voleva la dominazione britannica?
Ma non sono stati solo gli inglesi a colonizzare, basta fare un giro a Pondicherry, in India, e vedrete che lì tutti parlano francese, come del resto lo parlano a Montreal o nel Québec. In Messico parlano spagnolo.
Che cosa vogliamo sostenere? Che l’immigrazione va bene quando si tratta dell’impero?
O sosteniamo forse che c’è troppa immigrazione perché “loro”, chiunque loro siano, ci rubano i nostri lavori / le nostre case / i nostri sussidi e via dicendo…
E “loro”, naturalmente, sono i poveri.
A quanto pare, non c’importa che l’élite globale si sposti in giro per il mondo, portando con sé il proprio denaro, per evitare di pagare le tasse.
Mi è venuta un’idea.
Invece di dire ai poveri della terra di fare fagotto perché non obblighiamo i ricchi della terra a tornare a casa? Via dalla Svizzera, dal Lichtenstein, dalle isole Cayman, impediamogli di essere domiciliati in un posto e di risiedere in un altro, di dirottare i profitti della loro azienda in Lussemburgo, dove la tassazione è bassa, come ha fatto Amazon. Riportiamoli a casa, perché creino posti di lavoro ben remunerati per i loro connazionali, perché i miliardi di tasse che hanno evaso ritornino nei loro paesi.
Volete mettere fine al “turismo dei sussidi”? Allora sventate la minaccia delle aziende di chiudere i propri stabilimenti e spostarli altrove ogniqualvolta il governo propone di aumentare la tassa sugli utili o cerca di costringere le aziende a pagare salari sufficienti per vivere. Perché quando le aziende non pagano salari sufficienti, la classe lavoratrice povera può reclamare sussidi facendo leva sul sistema tributario. Il libero mercato è il più grande erogatore di sussidi del mondo.

Lassù, nella Sierra Nevada, i cercatori d’oro di Minnie sperano tutti di diventare ricchi. È il sogno di ogni migrante, il sogno americano, il sogno che vogliamo che si avveri. Poi arriva Ramarrez, ma dice di chiamarsi Johnson e di venire da Sacramento. Vuole rubare tutto, ma Minnie è una donna che sa il fatto suo e non può essere rubata o presa a forza, e allora Ramarrez ricorda che un tempo nella sua vita c’era qualcosa che valeva più dell’oro: ricorda l’amore che aveva provato per Minnie.
Ricorda la sua storia, ma raccontata in un altro modo.
Tutti i cercatori d’oro vogliono condannarlo all’impiccagione, issarlo sul patibolo con il cappio al collo e, all’improvviso, ecco che Minnie corre nella neve, corre sfidando la storia di lui e la propria, corre sfidando l’impossibilità dell’amore di salvare la vita dell’uomo che ama, nonostante tutto.
Minnie ricorda a ciascuno dei cercatori d’oro tutte le gentilezze che gli ha fatto e a ciascuno di loro chiede di risparmiare la vita del suo uomo.
E a Ramarrez ricorda che non è soltanto un bandito e un ladro. Che un tempo era un brav’uomo. Che poteva tornare a esserlo. Certo, si potrebbe arguire che ancora una volta Puccini ci propina una sdolcinata tiritera sugli effetti positivi del bene di una brava donna, e forse è così, ma l’amore di una brava donna è comunque un bene prezioso.
Ed è questo il ruolo importante che noi donne dobbiamo ricoprire, se vogliamo cambiare il mondo.
Noi donne sappiamo cosa significa la disuguaglianza. Abbiamo provato sulla nostra pelle l’esclusione. Sappiamo come ci sente quando tutti si accaniscono contro di te. Non molto tempo fa ci accusavano di rubare i posti di lavoro agli uomini. Sappiamo cosa vuol dire essere pagate poco, perché, dal punto di vista economico, occupiamo ancora i gradini più bassi della scala sociale. Sappiamo cosa vuol dire fare tre lavori contemporaneamente: la moglie, la madre, la salariata. Sappiamo cosa vuol dire cercare di tenere insieme la famiglia quando il padre è disoccupato.
E in politica abbiamo bisogno di questa sapienza. Abbiamo bisogno della storia degli esseri umani, non di vuota retorica e di argomenti astratti. C’è troppa sofferenza al mondo e potremmo arginarla. Abbiamo bisogno di una pietà basata sulla giustizia, non sulla carità.
Ci saranno sempre donne come Marine Le Pen o Margaret Thatcher. Lady Macbeth era una loro antenata. Donne di quella genia sono implacabilmente fedeli al vecchio ordine. Vogliono che le donne restino a casa, anche se questo non vale per loro, e che Dio ti aiuti se sei gay o multiculturale. Loro blaterano di cultura nazionale ma odiano le arti, a meno che l’artista non sia morto e sepolto.
Altre donne, che si occupano di politica o che ricoprono ruoli di potere, per paura di mettere in dubbio il principio di uguaglianza si guardano bene dal dire che essere donna potrebbe metterle in una posizione di vantaggio.
Ma la verità è che da migliaia di anni sono gli uomini a condurre lo spettacolo e, signore e signori, possiamo dirlo? È un vero disastro. E la colpa non è di certo delle signore.
E se, per una volta, ci lasciassero il posto di comando? Potrebbe forse andare peggio di così?

Dov’è il centro del mondo?
Devo rivelarvi il dato statistico più importante che dovete conoscere?
In questo momento, la ricchezza e le risorse del mondo sono nelle mani di pochi, più di quanto sia mai successo nella storia. Gli ottantacinque uomini più ricchi del mondo controllano più ricchezze che la metà più povera del globo

 

Guardatela, eccolo, il Pianeta Azzurro, Nostra Madre Terra.
Al principio. Tanto tempo fa. Nel braccio di spirale di una galassia minore, la Via Lattea, nella vasta infinità dello spazio, guardatela, eccola lì. E lì potremmo vivere. E crescere i nostri figli. E prenderci cura della terra. E usare la nostra creatività per lasciarci alle spalle la fatica. Mettere la tecnologia a disposizione di tutti. Soddisfare i nostri bisogni più semplici: una casa, del cibo, l’acqua, l’aria pulita, la natura. Vivere con gli animali e governarli saggiamente, con delicatezza, con grande piacere. Vedere il leone e la tigre nelle foreste. Vedere le balene nell’oceano. E gli orsi polari, che possono fare a meno di noi. Celebrare la differenza. Non avere paura di nessuno. Sapere che lo sconosciuto è anche nostro amico. Scrivere, cantare, ballare, dipingere, creare, inventare, immaginare. Amare.
Formulare la domanda più difficile di tutte. Perché siamo qui? Ed essere così fortunati da trovare una risposta.
Nessuno di noi deve mettersi al centro del mondo. Ma tutti noi dobbiamo farne parte.

Jeanette Winterson 

 

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