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Kenya: arrestata la moglie di uno dei rapitori di Silvia

La donna è stata intercettata al telefono con il marito

La polizia kenyana ha arrestato la moglie di uno dei tre sospetti rapitori di Silvia Romano, ed anche il suocero. Lo hanno reso noto le autorità locali, come riporta il Daily Nation. Bernard Lemparamarai, coordinatore della regione costiera, ha riferito che la donna, di nome Elima, moglie di Said Adan Abdi, è stata fermata nel villaggio di Tarasaa a Garsen, nella contea di Tana River, dopo essere stata intercettata al telefono con il marito: "Interrogheremo i due per ottenere maggiori informazioni sull'ubicazione" della ragazza rapita "e sulle sue condizioni".

"Silvia Romano è viva. Non abbiamo dubbi": a dirlo è Noah Mwivanda, comandante regionale della polizia di tutta la regione costiera kenyana, all'inviata di Repubblica. "Silvia si trova nella foresta, in mano a tre degli assalitori. Gli altri cinque sono scappati, e ne abbiamo perse le tracce. Di lei invece abbiamo la localizzazione e le impronte", ha detto Mwivanda citato da Repubblica.it.

La polizia del Kenya ha inoltre identificato tre sospetti per il rapimento di Silvia e ha deciso di offrire una ricompensa di un milione di scellini (circa 9.750 dollari) a chiunque fornirà informazioni che portino al loro arresto. I nomi dei sospetti sono: Ibrahim Adan Omar, Yusuf Kuno Adan e Said Adan Abdi.

Ieri gli agenti hanno compiuto altri arresti, di cui tre definibili 'rilevanti' per le indagini, e si sono sbilanciati nel dichiarare "ottimismo" per la soluzione del caso della volontaria milanese sequestrata martedì sera in una villaggio della savana. Ma non se la sente di sciogliere la riserva più inquietante: quella del movente del sequestro. Non si sbilancia quindi se la giovane sia, o possa finire, nelle mani dei famigerati terroristi islamici somali al-Shabaab. Un caso 'terribile' che la Farnesina, con l'unità di crisi. "segue da vicino dall'inizio" ma sul quale serve il massimo riserbo, insiste il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.

L'incubo della cellula somala di al-Qaida aleggia sul rapimento fin da quando tre uomini armati di kalashnikov l'hanno prelevata dal villaggio di Chakama, un'ottantina di chilometri da Malindi, sparando a casaccio e ferendo cinque persone tra cui due bambini. Le indagini, su quello che è il primo sequestro di uno straniero in Kenya dal 2012, vanno avanti e la polizia ha arrestato altre tre persone, portando a 20 arresti i fermi potenzialmente legati alla vicenda. E tra questi - ha sottolineato il capo della polizia keniana, Joseph Boinnet - ci sono "tre persone che ci hanno dato informazioni molto preziose". "Abbiamo una significativo grado di ottimismo di poter essere in grado di trovare la ragazza nel più breve tempo possibile", ha spiegato ieri. L'alto ufficiale ha rivelato che gli investigatori sono vicini a determinare il movente del rapimento, ossia se sia avvenuto 'solo' con finalità di estorsione e se i terroristi islamici al-Shabaab siano dietro al sequestro. Ci sono testimoni oculari che riferiscono che "i sequestratori chiedevano denaro", ha ricordato Boinnet mostrando di propendere per la prima e meno angosciosa ipotesi. "Non possiamo però - ha tenuto a preciare - essere certi su chi siano e perché abbiano rapito" la volontaria che era andata in Kenya per accudire orfani e bimbi bisognosi.

A incoraggiare la polizia, e ad aiutare la caccia condotta di concerto con esercito e rangers forestali, é il "significativo sostegno" della popolazione locale, "vitale" per un auspicato successo dell 'operazione di salvataggio, ha detto Boinnet. Le indagini, che come emerso giovedì fra l'altro si concentrano su un uomo che ha affittato un appartamento dove ha ospitato due altre persone dileguatesi il giorno del sequestro, ha portato al sequestro di due motociclette che si ritiene siano state usate dagli assalitori e abbandonate in contee vicine a quella di Kilifi dove si trova Chakama. Intanto, da due giorni, la sera si prega per la rapita in una parrocchia di Fano, il centro delle Marche dove ha sede la onlus per cui lavora Romano. Anche tra la comunità italiana a Malindi si spera in una soluzione della vicenda e si tiene a precisare di "non sentirsi in pericolo" nel Paese. Un messaggio lanciato anche dagli operatori turistici che temono una fuga, soprattutto in vista delle prossime feste di fine anno.

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