(ANSA) - ROMA, 5 APR - Tasse e contributi si mangiano circa
la metà dello stipendio dei lavoratori dipendenti italiani. A
svanire nel cosiddetto cuneo fiscale è il 49% del reddito, un
livello che "eccede di ben 10 punti l'onere che si registra
mediamente nel resto d'Europa". Nell'ultimo rapporto sulla
finanza pubblica, la Corte dei Conti, promuove la crescita
italiana, finalmente "meno fragile", ma torna ad evidenziare "i
limiti e le distorsioni" del sistema fiscale italiano, ponendo
l'accento proprio su uno dei temi politicamente più caldi per il
governo Gentiloni, alle prese con la definizione del Def e della
manovra correttiva.
Nonostante i progressi degli ultimissimi anni, la pressione
fiscale è ancora troppo alta, sia sulle imprese che sui
lavoratori, rilevano i magistrati contabili, tale da non
riuscire a disincentivare il sommerso e l'evasione. Se infatti i
dipendenti si vedono arrivare in busta paga poco più della metà
di quanto versa il datore di lavoro, meglio non va agli
imprenditori. Il total tax rate che grava su un'impresa di medie
dimensioni ammonta - tra oneri societari, contributivi, per
tasse e imposte indirette - al 64,8% e, in questo caso, "eccede
di quasi 25 punti l'onere per l'omologo imprenditore dell'area
Ue". Non solo. I costi di adempimento degli obblighi tributari
che il medio imprenditore italiano deve affrontare ammontano,
insiste ancora la Corte dei Conti, in 269 ore lavorative, il 55%
in più di quanto richiesto al suo competitor europeo.
Sul fronte fiscale molto resta quindi da fare, anche per
esempio sul fronte delle tax expenditures, riforma sempre
annunciata ma mai realmente affrontata, e che - anche in questa
tornata - sta tornando di attualità in vista della messa a punto
del Documento di economia e finanza e del Piano nazionale delle
Riforme.
Proprio guardando alle strategie di politica economica del
governo, la Corte invita alla cautela nell'utilizzare i proventi
dalla lotta all'evasione, "per loro natura incerti", come fonte
di gettito stabile e su cui basare aumenti di spesa o riduzioni
di entrate certe e giudica il settore dei giochi ormai "saturo"
e nel medio periodo non più troppo redditizio. Quasi un monito
per la correzione strutturale che dovrebbe avere tra i capisaldi
proprio l'emersione fiscale e, secondo alcune ipotesi, anche un
ulteriore inasprimento sui giochi. Stesso dicasi per le
privatizzazioni: il calo del debito, secondo in Europa solo a
quello greco, è doveroso ma non è detto che le dismissioni del
patrimonio pubblico possano avere effetti "determinanti nel
breve-medio periodo. E d'altra parte in un contesto di crescita
moderata, riduzioni rapide del debito potrebbero essere
eccessivamente costose", notano i magistrati. Meglio quindi
puntare sulla crescita economica tramite le riforme strutturali.
Attenzione andrebbe posta anche sugli investimenti: il loro
calo preoccupa, perché potrebbe causare una violazione
"dell'apposita clausola invocata dal governo per ottenere
margini di flessibilità" rispetto agli obiettivi europei. A
gettare benzina sul fuoco è però il ministro dell'Economia Pier
Carlo Padoan: gli investimenti pubblici sono uno dei pilastri
della strategia economica del governo, continueranno come
continuerà il consolidamento dei conti affiancato dal sostegno
al reddito e all'occupazione. Un sentiero stretto ma che va
perseguito al di là delle "soluzioni scorciatoia che vengono
spesso evocate". Gli effetti del resto si vedono, sottolinea il
ministro in linea con la Corte. Nel 2016 "la crescita ha ripreso
vigore e i primi segnali dell'anno in corso sono incoraggianti.
Siamo in una fase di transizione verso una crescita più robusta
e sostenuta grazie ai significativi progressi in termini di
riforme strutturali". (ANSA).