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ANSA/Libro del giorno: Rapino e le cronache di Scarciafratta

A 2 anni da Campiello ripropone i suoi esemplari personaggi

Paolo Petroni (ANSA) - ROMA, 15 FEB - REMO RAPINO, ''CRONACHE DELLE TERRE DI SCARCIAFRATTA'' (MINIMUM FAX, pp. 194 - 17,00 euro). Dopo Bonfiglio Liborio ecco Ruscitti Domenico Giuseppe, nato nel 1887 a Scarciafratta e noto a tutti col nome di Mengo, due personaggi fuori dal coro, liberi e solitari, particolari se non stralunati, che Remo Rapino, reduce da un Premio Campiello nel 2020 col romanzo precedente, predilige e racconta facendone cartine di tornasole della vita degli abitanti di cittadine o borghi d'Abruzzo che diventano microcosmi in cui acquista evidenza tutta una realtà esistenziale e un mondo esemplare, universale.
    Quella è una ''malapatria'' di migrazioni e terremoti e ben lo sa chi vive sotto la rocca di Scarciafratta come Mengo, rimasto solo con lo spelacchiato cane Sciambricò e sognando l'imprendibile Ninetta Incantalupo dopo la ''cosa brutta'', il terremoto del 1961 che ha distrutto tutto, parlando da solo o con la luna quando è piena. E' quella luna che non sente più solo sua quel 21 luglio del 1969 in cui vi sbarcano gli astronauti americani, che è anche la data della sua morte e dello scritto-lettera che ha tra le mani nel centro di assistenza anziani Villa Adriatica, dove è ricoverato da quasi un anno, oramai compiuti gli 80 anni.
    ''Malapatria'' però lo è stata anche per gli altri abitanti, a cominciare dall'anarchico Nocella Beppe detto Spartachetto che, reduce dalla guerra civile spagnola, cercherà fortuna, come dice lui, in ''un'altra malapatria'', l'America. E come con lui, è attraverso gli altri personaggi che sappiamo quali segni abbia lasciato la storia in quel borgo e nei suoi abitanti. Ecco le donne che aspettavo il ritorno dalla Russia dei figli partiti in guerra o lu belgese Covatta Nunziatino, emigrato minatore in Belgio dove vive la tragedia di Marcinelle, in un macello di fuoco, fiamme e corpi bruciati. Attorno tutto il paese dai bambini al maestro, anarchici e suonatori della banda, comunisti e preti con cui scappa la figlia di uno di questi, 'u pascià Pezzo Luigi più attaccato alla roba che agli uomini, il medico condotto e i due fratelli Antoniuccio e Teodosia orfani e sopravvissuti di carità, e così via scartabellando il ''Registro delle anime'' di Scarciafratta.
    Questo è un registro in cui un impiegato dell'Ufficio Anagrafe, stanco di timbri e burocrazia, ha racconto le storie dei compaesani, che Mengo trascrive facendoli ''parlare ancora'', tutte confessioni in prima persona che compongono la seconda parte del libro e sono anche testimoni della sua esistenza, che invece prende, da parte sua, la prima parte, aperta dalla testimonianza dell'infermiere generico Cippella Oreste di Villa Adriatica, che ricorda come parlasse ''così piano che neanche lui riusciva a sentirsi. Una parlata senza virgole, senza punti, tutto un rotolamento di parole, come se volesse recuperare il tempo perduto, riempire i silenzi di troppi anni''. Ed è quello che testimonia il suo successivo monologo (la sua confessione nel ''Registro''?). Mengo è personaggio poeticamente semplice, tenero, che, tra ''rumore di frane da stringere il cuore'' se la prende con quelli che se ne sono andati ''in città, in quell'ammucchiata di ferro e cemento'', mentre lui tiene in ordine il paese così' che se qualcuno tornasse trova tutto a posto ad accoglierlo. E Rapino traduce tutto in una scrittura meno forzata che in ''Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio'', che scorre rapida, compatta a riproporre un flusso continuo di pensieri, quasi senza poter respirare in un rincorrersi di ricordi, sogni, riflessioni. (ANSA).
   

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