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Tiziana Cantone, 4 indagati per diffamazione. La madre ai funerali: "Mia figlia non meritava questo"

Video pubblicati a sua insaputa e diventati virali sul web

A Casalnuovo (Napoli) i funerali di Tiziana Cantone, la donna di 31 anni che si è suicidata a Mugnano di Napoli dopo la diffusione di suoi video hard, postati sul web a sua insaputa. Video diventati in poco tempo virali e oggetto di commenti offensivi.  "Mia figlia non meritava questo, non ha mai tradito nessuno", ha detto la mamma al termine del rito funebre. All'uscita dalla chiesa di San Giacomo il feretro è stato salutato da un applauso e dal lancio di palloncini bianchi. "Preghiamo per la conversione di chi vive nella malvagità", aveva detto il parroco durante la cerimonia. Accanto alla famiglia tantissime persone che hanno affollato la chiesa.

Quattro persone sono indagate per diffamazione: sono le persone alle quali la giovane diede i video e che furono da lei poi querelati. I quattro furono iscritti lo scorso anno nel registro degli indagati. La Procura inoltre ha deciso di acquisire tutti gli atti della causa civile intentata dalla ragazza e aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. La famiglia della donna chiede che "finisca la gogna mediatica"

Scoppia intanto il caso del vicepresidente del Corecom Marche, Francesco Capozza, giornalista: dopo un suo tweet di insulti nei confronti della donna, lo sdegno social che ha portato qualcuno a chiedere le sue dimissioni. Si è pero' dimesso il presidente del Corecom Marche Pietro Colonnella. "Sono amareggiato dalle gravissime dichiarazioni di Francesco Capozza. La situazione venutasi a determinare non mi permette di restare un minuto in più in un organismo, nel quale un membro esprime opinioni che contraddicono radicalmente le funzioni ed il lavoro svolto dal Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni della Regione) in questi 5 anni".

IL TWEET INCRIMINATO - ''Scusatemi - questo, il primo post di Capozza -, attaccatemi pure, ma io non posso concepire il suicidio di per sé, ancor meno se una vacca che si fa video hot poi arriva a tanto''. Stamani, in piena bufera, la marcia indietro, affidata ad altri  due post. ''Ritengo di avere usato impropriamente un termine offensivo e me ne scuso'', il primo. E ancora: ''chiedo scusa per il tweet di ieri se ha offeso la memoria di una povera ragazza. Volevo dire, da cristiano, che il suicidio non è una soluzione''.    

L'APPELLO DELLA FAMIGLIA - I familiari della donna chiedono di far cessare la 'gogna mediatica', che continua anche dopo la morte. Dolore, sconcerto, rabbia per quello che non tutti hanno capito, una situazione, cioè, vissuta come un incubo. "Ora chiedono giustizia affinché la morte non risulti vana, l'ennesima. Rispettate il loro dolore" si fa sapere. 

 LA STORIA - Si è tolta la vita impiccandosi con un foulard nella abitazione dove si era rifugiata da qualche tempo con la madre, per sfuggire al clamore mediatico sollevato dai video hard che la ritraevano e che erano finiti in rete a sua insaputa, diventando virali. La donna, 31 anni, era rimasta fortemente segnata da questa vicenda: il video era diventato virale tanto da costringerle ad avviare le procedure per il cambio del cognome. Residente in provincia di Napoli, si era allontanata dal suo comune natio. 

C'è chi riferisce di un precedente tentativo di suicidio, chi descrive il progressivo aggravarsi della sua depressione. La vicenda sarebbe iniziata come un gioco: lei stessa avrebbe inviato per gioco quelle immagini a un ristretto numero di amici, uno dei quali l'avrebbe tradita trasmettendo il video a qualcun altro. E così via, in una catena di inarrestabile diffusione. Le immagini erano finite praticamente ovunque, siti porno compresi, dando vita sul web a una catena di insulti e dileggi.

 Alta, bruna, capelli lunghi e sguardo intenso, un fisico da modella. La donna lavorava nel locale di cui erano titolari i genitori. Il peso di questa vicenda si era fatto insostenibile, in un crescendo di angoscia e depressione, fino al tragico epilogo.

CONDANNATA A 20 MILA EURO DI SPESE LEGALI - Da un lato il giudice le aveva dato ragione obbligando alcuni social, come Facebook, a rimuovere video, commenti, apprezzamenti e al pagamento delle spese per una cifra pari a 320 euro. Dall'altro lato era stata a sua volta condannata a rimborsare le spese legali a cinque siti per circa 20mila euro. Si legge questo nella decisione del giudice sul provvedimento di urgenza chiesto dalla 31enne per la rimozione dai siti web dei video hard. La decisione è stata depositata lo scorso 8 agosto. Il giudice aveva accolto parzialmente le richieste stabilendo che per alcuni motori di ricerca e altri siti, che avevano già provveduto alla rimozione delle immagini e dei commenti, l'azione era da respingere. La domanda, invece, era stata accolta nei confronti di Facebook e di altri soggetti ai quali veniva imposta l'immediata rimozione di ogni post o pubblicazione con commenti e apprezzamenti riferiti alla donna. Per quanto riguarda, poi, le spese il giudice aveva condannato Facebook ed altri tre soggetti al pagamento di 320 euro ciascuno per esborsi e 3645 euro per compensi professionali. La ricorrente era stata condannata al rimborso nei confronti di Citynews, Youtube, Yahoo, Google e Appideas di 3645 euro, per ciascuno, per le spese legali oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%.

 Sostanzialmente si equivalgono le somme che avrebbe dovuto dare e ricevere a titolo di esborsi e spese legali per il procedimento di urgenza con cui la 31enne suicida dopo la diffusione in rete dei video hard aveva sollecitato il giudice a ordinare la rimozione di video e commenti da siti, motori di ricerca e giornali online. E' quanto emerge dal dispositivo dell'ordinanza dal giudice del Tribunale Napoli Nord Monica Marrazzo. Il giudice infatti ha condannato Facebook, Sem srl, Ernesto Alaimo, Pasquale Ambrosino e Rg Produzioni (responsabili di testate giornalistiche online) alle spese in favore della ricorrente liquidate ''in euro 320, per esborsi, e euro 3.645 per compenso professionale, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15 per cento sul compenso''. Il giudice ha altresì condannato la ricorrente al rimborso in favore della Citynews, YouTube LLC, Yahoo Italia, Google Ideas delle spese ''che liquida (per ciascuno di essi) in 3645 euro per compenso professionale, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15 per cento sul compenso''. 

L'INTERVENTO DEL GARANTE - ''Servono procedure di risposta più tempestive da parte delle diverse piattaforme, ma è anche necessario far crescere il rispetto delle persone in rete. In questa prospettiva è sempre più urgente un forte investimento nella educazione digitale per promuovere una cultura ed una sensibilità adeguate alle nuove forme espressive del mondo on-line", dichiara Antonello Soro, garante della privacy intervenendo sul suicidio della donna che non ha retto al peso del video hard che non riusciva ad eliminare dalla rete.

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