(ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 18 MAR - Padre Pavlo Tomaszewski
ha 35 anni, è un religioso paolino ed è il rettore della
Parrocchia di Nostra Signora di Czestochowa a Mariupol, la città
martire di questa guerra in Ucraina. La città che non aveva
chiese ai tempi dell'Unione sovietica e che è diventata poi la
'città di Maria'. Una famiglia di origine polacche, quella del
sacerdote ucraino che vuole gridare al mondo che a Mariupol si
sta vivendo quello che "non era immaginabile". Lo ha fatto in un
incontro online con la stampa internazionale organizzato dalla
fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Ora è al riparo, fuori dalla città più colpita dai russi. "Se
mai esista un posto sicuro", commenta. E' riuscito a lasciare
Mariupol con il suo confratello; il terzo religioso del suo
monastero era casualmente, prima che scoppiasse la guerra, in
Polonia "ed è stato un bene sia per lui che per noi perché
sarebbe stato più complicato salvarsi in tre anziché in due".
Padre Pavlo parla di "bombardamenti senza nessuna sosta", di
vetri dei palazzi che saltavano, di "tre donne uccise in strada
solo perché erano uscite per cercare qualcosa da mangiare".
Giorni in cui Mariupol si è trasformata in un "inferno" e si
viveva nei bunker o comunque protetti dai muri del monastero.
Il rumore delle bombe, e poi "giorni senza elettricità, senza
acqua, senza cibo". Senza Messe con i fedeli, ma la chiesa è
rimasta aperta per chi cercava aiuto. "Ho perso i contatti con
tutti i parrocchiani, non potevo sentire né visitare nessuno,
lasciare la casa era come una lotteria".
Lasciare Mariupol "non è stata una decisione facile", dice
don Pavlo che immagina la sua parrocchia "ora saccheggiata e
distrutta".
La cosa più dolorosa è stato vedere, nel momento in cui si è
verificata una pausa dei bombardamenti, "un grande caos, negozi
e supermercati assaltati dalla gente che cercava di prendere
qualsiasi cosa, anche gli scaffali". "In quel momento abbiamo
capito che non potevamo fare niente noi sacerdoti. Come puoi
aiutare la gente se loro rendono la situazione più difficile
devastando i negozi e prendendo tutto quello che trovavano?
Certo per necessità ma ho visto persa l'umanità, la dignità.
Persone diventate come animali".
E così i due religiosi si sono messi in cammino con la loro
auto: "abbiamo portato lo stretto indispensabile, i documenti,
il tabernacolo con il Santissimo Sacramento". Le preziose icone
del monastero sono rimaste lì. "Non sapevamo quale sarebbe stata
la nostra sorte, se fossimo stati fermati, uccisi".
Poi il cammino insieme a centinaia di auto con le difficoltà
a superare i check point. "Alcune donne si sono inginocchiate
davanti ai soldati russi chiedendo loro che ci lasciassero
passare e loro, con facce di pietra, rispondevano che gli ordini
sono ordini". Poi una persona si fa avanti e propone a tutti di
seguirlo nel suo villaggio vicino. "Era difficile fidarsi ma poi
l'abbiamo fatto e siamo stati accolti e aiutati da tutto il
villaggio. E' stata veramente la salvezza".
"A Roma, a Madrid, Berlino non so se potete capire, non avete
le bombe sulla testa, persone e bambini che vengono uccisi tutti
i giorni. Per questo - conclude don Pavlo con un accorato
appello - vi chiediamo di chiudere i cieli sopra l'Ucraina".
(ANSA).