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Migranti: odissea di due donne in fuga per figli

Fiore e Fassiuta, dalla nave Diciotti a Palermo per partorire

(ANSA) - PALERMO, 12 GIU - Hanno gli occhi lucidi e lo sguardo sofferente di chi ha dovuto assistere e subire violenze di ogni genere. Un'esistenza spezzata a metà: da una parte gli affetti che hanno dovuto lasciare in Africa, dall'altra le persone che volevano raggiungere in Europa. Per inseguire questo "miraggio" hanno viaggiato per anni, attraversando prima il deserto e poi il mare. Fiore Kenfa, una giovane eritrea di 24 anni, e Fassiuta Giomande, una donna ivoriana di 41, adesso sono ricoverate nel reparto di Ostetricia dell'ospedale Civico di Palermo. Sono state trasportate ieri sera in elisoccorso da Lampedusa, dopo essere state trasferite d'urgenza con altre due compagne incinte e un minore dalla nave Diciotti della Guardia Costiera che approderà domattina nel porto di Catania. Le loro condizioni di salute erano "a rischio", adesso la situazione - assicurano i sanitari - è "sotto controllo". Quando sono arrivate in ospedale avevano solo un braccialetto al polso con un numero per identificarle, la 200 e la 906. Per conoscere il loro nome e cognome è stato necessario l'intervento di un mediatore culturale. Tra qualche giorno le due donne partoriranno i figli che hanno portato in grembo in questi mesi verso una vita migliore. Un miracolo, proprio come il piccolo Miracle, nato qualche settimana fa sulla nave Aquarius. "Noi in Africa non abbiamo speranze, non abbiamo futuro - dice Fiore parlando in arabo con Nadia, mediatrice culturale dell'Asp -. Per questo siamo disposti a tutto pur di avere una possibilità". La ragazza si ferma per un attimo e poi scoppia a piangere. Pensa alla figlia, lasciata in Eritrea; al marito che si trova in Svizzera. "Credete che riuscirò mai a riabbracciarlo?". Per raggiungere il compagno Fiore ha lasciato il suo villaggio tre anni fa. Prima è andata a lavorare in Sudan, dove è stata violentata. Poi è partita per la Libia. Qui ancora violenze. "Sono stata segregata dentro una casa come una schiava, venivano controllate con le telecamere. Non potevamo fuggire. Dovevamo solo lavorare". Una prigione dove gli stupri sono all'ordine del giorno. Questa volta la donna resta incinta.
Il suo aguzzino le paga la traversata verso l'Italia, forse nel tentativo di lavarsi la coscienza. La durezza del viaggio si vede tutta nel viso scavato della ragazza. Non ha neppure la forza di mangiare. Il pasto portato dalle infermiere rimane sul tavolino. "Non ho fame - spiega - sono molto stanca. Spero che adesso qualcuno mi aiuti, anche per la bambina che sta per nascere". La sofferenza si legge anche sul volto di Fassiuta Giomande, costretta ad abbandonare sei figli in un villaggio sperduto della Costa d'Avorio. Quello che partorirà tra qualche giorno a Palermo è il settimo. La donna è stremata, parla a fatica.
Racconta in francese la sua odissea. "Ho camminato a piedi nel deserto, ho attraversato la Tunisia e finalmente sono riuscito a raggiungere le coste libiche. Durante il viaggio ho lavorato per potermi pagare la traversata in mare. Ho consegnato ai trafficanti 1300 dinari, ma so che c'è chi è costretto a versare molto di più. Del resto la nostra unica speranza è quella di raggiungere l'Europa. Per questo siamo disposti a rischiare la vita e a lasciare le persone che amiamo".
Il pensiero corre ai sei figli che si trovano ancora in Costa d'Avorio. "Qualcuno penserà forse che non sono una buona madre, ma io sono partita proprio per loro, per garantirgli un futuro migliore. Mi mancano molto, spero di poterli riabbracciare presto, di fargli conoscere il fratellino che sta per nascere, di vivere una vita dignitosa insieme ai miei figli. Chiedo troppo?". (ANSA).

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