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ANSA/ Carcere non rieduca, cappellano lascia istituto per minori

Don Cannavera polemizza col Dap. Caso Quartucciu in Parlamento

di Fabrizio Fois


    (ANSA) - CAGLIARI, 21 MAG - Ha lasciato dopo 23 anni di servizio l'incarico di cappellano del carcere minorile di Quartucciu (Cagliari), in aperta polemica con il Ministero della Giustizia e con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, perché non vuole "essere più complice di un'istituzione che non risponde alle finalità rieducative". E il suo caso è arrivato in Parlamento, con un'interrogazione presentata dal deputato di Sel, Michele Piras.
    Don Ettore Cannavera, in Sardegna, è forse la figura di "prete da strada" per antonomasia. Fondatore della Comunità La Collina, nella quale operano i giovani in difficoltà che cercano una nuova vita, il sacerdote ha deciso, provocatoriamente, di sollevare la polvere dagli scaffali romani e spiegare a tutti che la reclusione così com'è non è che una pena temporanea che non serve a nessuno, né ai ragazzi, né agli adulti che la scontano, né tanto meno alla società che gliel'ha inflitta.
    "Il carcere non ha funzione rieducativa, ma solo di custodire le persone, cioè evitare che queste facciano ulteriormente del male - spiega all'ANSA - non può essere luogo di recupero, ma solo un luogo contenitivo e vendicativo. Forse si arriverà, tra 50 anni all'abolizione del carcere, per dare quelle risposte rieducative di cui parla l'articolo 27 della nostra Costituzione, ma per ora non interessa alla politica, perché non attira voti".
    Negli ultimi anni della sua ventennale esperienza Don Ettore ha visto ragazzi trattati come "pacchi da destinare a una collocazione più contenitiva", le "esigenze del 'trattamento' e della 'sicurezza'" che "prevalgono ancora su uno 'spazio pedagogico penitenziario'" e l'incedere del tempo su una struttura "sempre più fatiscente".
    "Il ministro sa e manderà degli ispettori a Quartucciu - spiega - invece di tanti 'bla bla bla' e di impiegare soldi per mantenere le persone in carcere, perchè non spendere le risorse per fare incontri con i familiari o per istituire borse di lavoro per ragazzi? Io confido nell'abolizione del carcere minorile, non c'è in Nicaragua o in Messico, ma c'è in Italia dove l'ordinamento penitenziario è uguale a quello degli adulti e minori, nonostante stiamo richiamati da Strasburgo e il Parlamento non si è dato da fare".
    Ma chi sbaglia, deve pagare. "La società nella sua maggioranza è forcaiola, la società non accoglie, non dà possibilità di reinserimento sociale e lavorativo. E' innanzitutto un problema culturale e finora le comunità sono state una risposta anche se non possono essere la panacea di tutti i mali. Il 70% dei ragazzi a livello nazionale sono recidivi, cioè per 7 su 10 non c'è stata l'azione di reinserimento".
    Perché? "Eccetto l'ergastolo, cioè 1500 persone su una popolazione carceraria di 54 mila, chi ricade sono quelli che hanno condanne dai 10 a 30 anni. Questo vuol dire che l'istituto ha solo contenuto e bloccato la persona, anzi, l'ha fatta ancora di più arrabbiare". E i ragazzi vivono dietro le sbarre "in attesa di sfruttare ogni opportunità per uscire. E' un gioco per ottenere qualcosa che si chiama diminuzione della pena, ma non c'è nessun rapporto educativo. Non c'è neppure l'autoconsapevolezza e l'assunzione di responsabilità".
    E nelle comunità invece? A La Collina ne abbiamo avuti 75 in 20 anni e solo 4 sono ricaduti, il 5% - conclude Don Ettore - Cosa facciamo? Ridiamo la possibilità di vivere del lavoro, degli affetti, un cammino culturale, riconoscendo ai ragazzi dignità e bisogni". (ANSA).

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