Il reportage del 2012 dell'inviato ANSA a Fukushima dopo il disastro
Con addosso tuta e dosimetro, ecco come si entra nel J-Village - FOTO
dell'inviato Antonio Fatiguso
CENTRALE DI FUKUSHIMA 28 FEBBRAIO 2012 - L'accoglienza al J-Village, 'la Coverciano del Giappone' di Hirono diventata base di coordinamento delle operazioni nella crisi della centrale nucleare di Fukushima, è calorosa. Il tempo a disposizione però è poco e, dopo i convenevoli, si va subito alle istruzioni principali, anzi vitali per la visita nella centrale: la sicurezza e la protezione personale.
In una stanza che si raggiunge da un corridoio tappezzato di foto dei Blue Samurai, i giocatori della nazionale nipponica di calcio, ci sono sistemati sui tavoli i kit destinati ai 17 componenti del pool dei media stranieri che si preparano a visitare l'impianto colpito dal sisma/tsunami dell'11 marzo.
Una tuta bianca in Tyvek, su cui scrivere il proprio nome con un pennarello rosso in dotazione ("sembrerete tutti uguali dovere essere riconoscibili", dice il funzionario della Tepco, il gestore della centrale), una maschera con filtri rafforzati della 3M, due paia di guanti - uno di cotone e uno in lattice - una mascherina da sala operatoria, una cuffia, e quattro teli di plastica, due lunghi e due corti, in cui infilare e proteggere i piedi. Tesserino di riconoscimento e l'immancabile dosimetro per misurare la radioattività assorbita completano 'l'uniformé per entrare nella centrale.
Quasi cinque minuti di orologio per indossare e controllare il tutto, sotto la supervisione degli uomini della Tepco. Telecamere, macchine fotografiche e altri oggetti, come i registratori, devono essere impacchettati e protetti con teli di plastica ("solo per evitare depositi di detriti contaminati", è la spiegazione). Per raggiungere il bunker antisismico della centrale è sufficiente la mascherina.
Dopo un briefing si può partire per l'ispezione dei reattori, ma con misure rafforzate: i guanti diventano tre per mano, di cui due di lattice, ed è obbligatorio usare la maschera integrale e un casco da cantiere. Sarà forse per l'impossibilità di fare a meno degli occhiali, ma la maschera inizia a dare fastidio. Si scende dal bus e, a 100 metri dal reattore n.4, non è proprio il caso di provare a sistemarla togliendosi le protezioni, quando non lontano c'é l'hot spot che eroga 1.500 microsievert/h: due ore di esposizione senza difese sono superiori alla radioattività naturale assorbita in un intero anno. Meglio resistere. Dopo tre ore in tuta bianca si torna al J-Village: i controlli sono tutti negativi e c'é un senso di grande sollievo quando finalmente ci si sfila la maschera. Si ritorna agli abiti civili.