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Italicum: Da Bersani a Letta fronte del "no", il Pd si spacca

Sullo sfondo l'ombra della scissione ma Area riformista si sfilaccia

Nessuna marcia indietro, questa volta non c'è "ditta" che tenga.

All'ennesimo "schiaffo" del premier, alla decisione di mettere la fiducia sulla legge elettorale, i "big" della minoranza Pd rispondono con uno strappo. L'ex segretario Pier Luigi Bersani, il capogruppo dimissionario Roberto Speranza, gli sfidanti di Renzi al congresso Gianni Cuperlo e Pippo Civati, l'ex premier Enrico Letta e poi Rosy Bindi, Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre. Non parteciperanno al voto di fiducia.

Non per mandare a casa il governo o mettersi fuori dal Pd, sottolineano. Ma per segnalare la contrarietà a una vera e propria "violenza al Parlamento". Alcuni deputati della sinistra dem li seguiranno, molti altri probabilmente no.

Alla fine potrebbero essere non più di una trentina. Ma i nomi dei dissidenti sono "pesanti" e tra i renziani c'è chi vede in questo strappo un primo avviso di scissione.

In mattinata la minoranza dem lancia un segnale al segretario e premier: compatti in Aula (solo Civati rivelerà di aver votato contro il governo) votano a scrutinio segreto le pregiudiziali presentate dall'opposizione per affossare la legge.

Non si mira, è il messaggio, a bloccare la legge o il governo, ma a votare poche, mirate, modifiche su liste bloccate e apparentamento, per correggere gli squilibri del testo. In "cambio" a Renzi si chiede di non mettere la fiducia, di consentire al Parlamento di decidere. Fino all'ultimo alcuni ci sperano. Ma subito dopo il voto delle pregiudiziali arriva quello che i "big" della sinistra dem vivono come uno schiaffo: il Cdm decide la fiducia. Alcuni dei "peones" della minoranza, riferisce più un deputato, a quel punto tirano un sospiro di sollievo: la fiducia li libera dal peso della scelta tra la linea di partito e la linea di principio. Nel 'corpaccione' di Area riformista, la componente più consistente della minoranza, molti (sarebbero circa 45 su 80) sono convinti che la fiducia non si possa non votare. Lo dichiarano anche esponenti di primo piano come Davide Zoggia e Nico Stumpo.

Ma a metà pomeriggio Roberto Speranza, che di Area riformista è il capofila, decide per lo strappo: "La fiducia è un errore gravissimo - dichiara - Questa volta non la voto. Non posso legittimare questa violenza al Parlamento". Parole durissime dettate dalla "scelta personale" di "difendere le mie convinzioni più profonde", spiega Speranza. Che così rende nei fatti irrevocabili le sue dimissioni da capogruppo. Fino all'ultimo, tra i banchi di un'Aula ormai vuota, alcuni colleghi più dialoganti gli chiedono di non farlo. Ma il dado è tratto. Uno dopo l'altro gli altri dirigenti della minoranza, in stretto contatto per tutta la giornata, dichiarano il loro dissenso. "E' in gioco la democrazia e ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Questa fiducia non la voterò", dichiara Bersani, che in mattinata con Cuperlo non aveva partecipato al voto palese sulla richiesta di sospensiva della legge.

"Dopo lo strappo voluto dal governo, non voterò: le regole non si impongono", annuncia Letta, che non aveva votato la pregiudiziale di merito. A loro si uniscono Civati, Fassina, D'Attorre, Leva. Bindi si spinge oltre e annuncia che voterà no alla fiducia e forse anche al testo. 

La legge elettorale, concordano in molti, è uno spartiacque per la minoranza dem, che potrebbe dividersi definitivamente se Renzi deciderà (ma l'orientamento sarebbe indicare Ettore Rosato) di proporre a un moderato di Area riformista (si citano Amendola e Damiano) la guida del gruppo. Ma i renziani, che registrano le critiche esplicite negli ultimi giorni anche di Romano Prodi, vedono l'ombra della scissione, negata da tutti: "Se ne vogliono andare, fare un nuovo partito di sinistra. Speranza si ritaglia ambizioni da leader".

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