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Bce: preoccupa l'impatto del protezionismo sulla crescita

Eurotower valuta lo scenario dopo l'allarme del Fmi

La nuova ventata protezionistica innescata dall'elezione di Donald Trump comincia a mettere in allarme diverse istituzioni internazionali, che temono ripercussioni sulla crescita.

Inclusa la Banca centrale europea: nonostante lo stesso Mario Draghi abbia detto che è troppo presto per giudicare gli sviluppi dopo le presidenziali Usa, da due fonti qualificate filtra preoccupazione, specie dopo che Trump, assunto l'incarico, sembra voler tenere fede alle promesse elettorali.

A lanciare l'allarme più forte era stata Christine Lagarde, che a Davos, la scorsa settimana, aveva usato parole pesanti: l'economia mondiale rischia "un 'cigno nero' davvero grande che avrebbe effetti devastanti, se si ripetessero nel 2017 in maniera negativa tutti gli elementi di rottura che ci aspettiamo sulla base di quanto accaduto nel 2016, e se si va a finire in una corsa al ribasso sul fronte fiscale, del commercio internazionale e della regolazione finanziaria", aveva detto la numero uno del Fmi.

Parole pronunciate in un riferimento neanche troppo velato alle politiche annunciate da Trump e alla minaccia di Londra di rispondere con un drastico taglio delle tasse sulle aziende per attrarre capitali. Lagarde "ha ragione, sono parole perfettamente condivisibili", spiega una delle fonti qualificate interpellata sulla posizione della Bce in merito. "C'è preoccupazione", conferma la seconda fonte.

Mario Draghi, nel consiglio Bce del 19 gennaio scorso, ha detto che "è troppo presto" per commentare sulle posizioni della nuova amministrazione americana. Che per ora ha confermato l'addio al Tpp, il trattato di Partnership trans-pacifica, e lavora su una sorta di 'exit-tax' sulle aziende che volessero delocalizzare ulteriormente le proprie manifatture, ma minaccia anche tariffe sull'import.

La posizione ufficiale della Bce non può essere più di tanto esplicita: ogni banca centrale è ben attenta a tenersi alla larga da simili questioni che, ricordano sempre i banchieri centrali, spettano alla politica. Anche ieri Peter Praet, capo economista e consigliere esecutivo della Bce, ha detto che i tempi non sono ancora maturi per farsi un'idea di come Trump articolerà le proprie politiche sul commercio estero.

Ma l'impatto dei segnali protezionistici potrebbe non essere trascurabile sullo scenario di crescita, e di questo le banche centrali devono tener conto. La Bce, nel suo bollettino economico di dicembre, scrive che "i rischi al ribasso includono un possibile rialzo nel protezionismo commerciale" e ora quei rischi sembrano farsi un po' più concreti.

Gli ultimi verbali dei consigli Bce disponibili, relativi al meeting del 7-8 dicembre, sorvolano su questo tema. Ma la discussione su quei rischi diviene inevitabile ora che l'amministrazione Trump entra nel vivo dei dossier.

Basti pensare che l'indice Ifo che misura la fiducia delle imprese tedesche, a gennaio, è sceso a sorpresa a gennaio e fra le cause, secondo diversi economisti, ci sarebbe il clima di incertezza sulle mosse di Trump e sulla Brexit. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha detto "non riesco davvero a immaginare che l'amministrazione Trump arrivi a danneggiare seriamente il libero commercio globale".

Ma la Germania rischia di trovarsi quel dossier in cima alle priorità da discutere al G20 di cui quest'anno ha la presidenza.

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