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Blair all'ANSA, 'Ulster modello di pace ma non per Kiev'

Ex premier 25 anni dopo: 'Mosca va sconfitta, niente negoziati'

Un successo negoziale storico, da rivendicare e difendere nonostante i contraccolpi della Brexit, e in grado di rappresentare sia una fonte di lezione "per i palestinesi" sia un modello di soluzione per altre crisi che oggi investono il mondo: ma non per la guerra in Ucraina, almeno fino a quando "l'aggressione della Russia" non sarà stata respinta. Parola di Tony Blair, interpellato dall'ANSA e dalle altre tre maggiori agenzie d'informazione europee continentali (Afp, Dpa ed Efe) in vista dell'imminente 25esimo anniversario del Good Friday Agreement, l'accordo di pace che nel giorno di Venerdì Santo del 1998 mise fine alla sanguinosa stagione dei Troubles fra nazionalisti cattolici e unionisti protestanti in Irlanda del Nord; e di cui egli fu co-artefice in veste di primo ministro britannico.

Un accordo che sir Tony si appunta al petto come "il lascito più incontestabile" della propria eredità politica e di governo. Senza nascondere tuttavia le incognite dell'oggi, in un'intervista esclusiva a tutto campo. Parlando del 25esimo, Blair ammette che il Good Friday Agreement potrà essere soggetto a "cambiamenti in una realtà che cambia" in Irlanda del Nord, tanto nei rapporti di forza tra unionisti e repubblicani, quanto nell'ascesa "per alcuni aspetti positiva" di forze interconfessionali quale "l'Alliance Party".

Ma indica nel dopo Brexit "la sfida più immediata da affrontare": elogiando la recente intesa di Windsor fra il premier Tory Rishi Sunak e Ursula von der Leyen per la revisione del protocollo nordirlandese come "inizio" di soluzione di una parte dei problemi attuali; e a patto che sia "applicata in modo sensato". Resta comunque il giudizio negativo sulla separazione dall'Ue, dalle cui conseguenze complessive "non si può sfuggire". E che nelle sue parole è ora causa prima del rilancio del dibattito sulla stessa riunificazione dell'Irlanda.

La previsione dell'ex premier è che "alla fine l'Irlanda del Nord rimarrà nel Regno Unito", ma solo se i problemi legati alla necessità di tenere Belfast agganciata al mercato unico europeo, e il confine con Dublino aperto, saranno risolti all'insegna "della stabilità" e della ricomposizione di un governo locale: come "conviene" in primo luogo proprio agli interessi dei recalcitranti unionisti del Dup. In tema d'impatto della Brexit sull'intero Regno, Tony Blair, sostenitore a suo tempo di un secondo referendum, riconosce d'altro canto come tale ipotesi, a dispetto degli "svantaggi" sempre più evidenti del divorzio in questa fase, non sia più d'attualità, al momento. "Il dibattito su se e come il Regno Unito possa eventualmente riaderire all'Ue sarà per una futura generazione", taglia corto, dicendosi invece d'accordo con l'approccio cauto del leader laburista neocentrista Keir Starmer volto a "ristabilire per ora relazioni con l'Europa" le più strette possibili in tutta una serie di dossier cruciali: dalla "ricerca, alla sicurezza, alle nuove tecnologie", ad altro.

La questione della "rivoluzione tecnologica" è secondo lui vitale d'altronde anche per il futuro delle forze progressiste europee. Richiesto di dare un'opinione sull'elezione di Elly Schlein al vertice del Pd italiano, si trincera dietro un no comment, dicendo di "non essersela ancora fatta".

Il suo suggerimento resta in ogni caso quello di "accettare la realtà che cambia" e di scegliere la strada del pragmatismo nella difesa dei valori storici della sinistra. Valori che non possono più fondarsi, insiste, su "tasse e spesa" pubblica; che devono combinare il richiamo al ruolo dello Stato dove serve a una robusta economia privata; che non rifiutino i migranti ma nemmeno "un controllo dell'immigrazione". Pena subire la concorrenza di formazioni "di centro" come quella che ad esempio in Italia sta promuovendo "il mio amico Matteo" Renzi. In un contesto nel quale, per altro verso, la priorità va ai grandi scontri geopolitici globali in atto.

Al riguardo, sir Tony non mostra tentennamenti sulla posizione da prendere sull'invasione russa dell'Ucraina. Conflitto rispetto al quale, sentenzia, la pace nordirlandese non può essere un modello poiché in Ulster si contrapponevano "posizioni politicamente ragionevoli", sebbene portate avanti anche con armi come "la violenza e il terrorismo"; mentre "non c'è giustificazione ragionevole alcuna nell'invadere un Paese indipendente e sovrano che non dava problemi a nessuno".

Di qui il rifiuto di qualsiasi trattativa con Vladimir Putin - di cui pure Blair fu uno dei primi interlocutori occidentali privilegiati in anni passati - "fino a quando l'aggressione" non verrà fermata e Mosca non sarà nella condizione di non poter ritentare di mettere in pratica minacce contro Kiev o altre nazioni più piccole dell'est in nome di "un concetto francamente bizzarro" di riscoperta "dell'imperialismo nel XXI secolo".

Condanna senz'appello da cui l'ex leader del New Labour non recede neanche quando gli si chiede se non riconosca almeno a posteriori di aver contribuito a fornire "una scusa" al Cremlino con la guerra irachena iniziata giusto 20 anni al fianco degli Usa senza mandato Onu e sulla base di giustificazioni rivelatesi infondate.

"Se Putin non avesse usato questa scusa - la sua riposta - ne avrebbe trovata un'altra; e, anche a essere completamente contrari alla destituzione di Saddam Hussein in Iraq, l'argomento perde valore dinanzi all'idea che sia equivalente rimuovere un dittatore sanguinario che aveva brutalizzato la sua gente e scatenato due guerre regionali e attaccare un Paese guidato da un presidente democraticamente eletto che, a quanto ne so, non ha mai aggredito alcun vicino".

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