GERONIMO, STORIA DELLA MIA VITA. Autobiografia di un guerriero. (PIANO B, pag 171, Euro 13,00).
"Alla fine solo quattro indiani rimasero nel campo, io e altri tre guerrieri. Le frecce erano state tutte scagliate, le lance spezzate nel corpo dei nemici uccisi. Ci restavano solo le mani e i coltelli". Lui è Geronimo, il capo indiano, il più celebre degli Apache ma non risuona più il suo fiero grido di guerra. E' anziano e prigioniero, da molti anni, nella riserva militare di Fort Sill. E' lì che nell'estate del 1904 S.M.
Barrett incontra per la prima volta Geronimo e gli fa da interprete. Nasce così l'idea di farsi raccontare la sua storia e il vecchio capo acconsente in cambio di soldi e solo dopo il permesso degli ufficiali del campo. Barrett non ottiene il permesso degli ufficiali, ma ottiene invece quello del presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, che gli dà il via libera. E' così che, gambe incrociate, seduti insieme, Geronimo e il suo biografo passano molte giornate nel flusso di un racconto orale per il quale il vecchio capo non vuole interruzioni, né domande. E' il suo punto di vista, puro e semplice, così come lo racconta l'indiano che è stato per anni il terrore delle truppe messicane in particolare. E' infatti sui messicani che si concentra l'odio puro di Geronimo. Ed ha anche i suoi motivi. Il lungo racconto di incursioni e reciproche stragi ha inizio infatti quando nell'estate del 1858, in tempo di pace e reciproci buoni rapporti, la tribù degli Apache Bedonkohe decide di spostarsi a sud, in Messico appunto, per commerciare oltrepassando Sonora diretti a Casa Grande, la meta finale. Ma lì accade la catastrofe. Una sera, tornati nelle quotidiane incursioni dalla città alla ricerca di provviste, i guerrieri Apache trovarono il villaggio messo a ferro e fuoco. Geronimo trova la sua famiglia sterminata: la giovane moglie, i tre bambini, la vecchia madre, tutti morti. Trucidati. E da allora la volontà di vendetta di Geronimo non si placa, in un inesauribile susseguirsi di drammatiche incursioni, di vendette incrociate. Gli Apache usano metodi brutali, ma i 'bianchi' non sono da meno. Quella è terra di violenza e ruberie, poche le leggi che reggono. Gli indiani hanno la loro etica, a volte rapiscono donne e bambini, lo fanno anche i bianchi. Ma non per farli prigionieri, per farli crescere - liberi come sono loro - nei loro villaggi. E portano a casa in trofeo solo lo scalpo dei nemici uccisi in battaglia. Ma prima della guerra, il racconto di Geronimo è la sua meravigliosa infanzia, totalmente libera e spensierata, in quella terra che, secondo le leggende Apache, erano stati gli uccelli, con le aquile a capo, a strappare alle tenebre nella quale l'avevano precipitata le 'bestie' di mitologica crudeltà: draghi, leoni, tigri, lupi volpi, castori, conigli, scoiattoli, topi. Dove "ogni creatura aveva il dono della parola e della ragione" e dove l'uomo non riusciva a sopravvivere se non con estrema difficoltà. Poi venne il dono della luce, ma era rimasto solo un ragazzo, l'Apache che riuscì ad uccidere il drago con le sue quattro frecce. E il quattro era per gli Apache, e le loro sei tribù, un numero magico. Un mondo crudele ma appunto, in fondo, magico.
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