Il Tar della Liguria ha annullato
un'interdittiva antimafia a una gioielleria dei parenti di un
condannato all'ergastolo per mafia che diventato collaboratore
di giustizia aveva investito "un'ingente somma di denaro,
capitalizzazione delle misure di assistenza, erogatagli dal
Ministero dell'interno, nell'impresa commerciale di vendita di
preziosi". Il pentito era stato sottoposto con la famiglia ad un
programma speciale di protezione e aveva lavorato nella
gioielleria ottenendo la libertà condizionale. Il Tar ha accolto
il ricorso presentato dai parenti del pregiudicato contro il
Ministero dell'Interno per poter proseguire l'attività. Il
Tribunale amministrativo ha sottolineato che la condanna risale
a "tempi remoti" e non risulta che "i controlli del servizio
centrale di protezione abbiano rilevato criticità o individuato
la permanenza di legami con ambienti criminali".
L'interdittiva antimafia era stata disposta con provvedimento
prefettizio che aveva ritenuto l'ergastolano, ora in libertà
condizionale, "il vero gestore dell'impresa, di cui condiziona
le politiche decisionali, ponendola in una condizione di
potenziale pericolo di condizionamento da parte della
criminalità organizzata di stampo mafioso".
"Appare illogica la decisione che comporta l'inibizione di
un'attività commerciale perché vi partecipa un soggetto che la
stessa Amministrazione, per agevolarne il reinserimento sociale,
aveva autorizzato e incentivato ad operare in tale ambito -
spiega invece il Tar - Il Tribunale di Sorveglianza aveva
autorizzato il collaboratore a lavorare presso la gioielleria
dei parenti e proprio tale occupazione ha contribuito a
costituire i presupposti per la concessione del beneficio della
liberazione condizionale".
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