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Quirinale: 2013, 101 ragioni per votare ancora Napolitano

Pd brucia Marini e Prodi. Poi tutti pregano Napolitano

di Marco Dell'Omo

Esattamente come sette anni prima. Anzi peggio. Nel 2013 le urne tradiscono le speranze del centrosinistra: ma se almeno Prodi nel 2006 era riuscito a strappare una risicata vittoria che gli aveva consentito di andare a Palazzo Chigi e di far eleggere Napolitano al Quirinale con i soli voti della maggioranza , nelle elezioni del febbraio 2013, nonostante abbia tutti i sondaggi a favore, Bersani si ferma a un passo dal traguardo: la legge elettorale gli dà la maggioranza alla Camera ma non al Senato. Hai voglia ad addolcire la pillola con lo slogan "non abbiamo perso le elezioni, abbiamo non vinto "; la realtà è che il centrosinistra da solo non ha i numeri per governare e nemmeno per eleggere il presidente della Repubblica.
Nessuno ha previsto l'enorme boom dei cinque stelle, che a forza di vaffa day riescono a portare in parlamentare 163 eletti che non vogliono scendere a patti con nessuno. Se ne vanno in fumo i progetti della vigilia: Bersani (vittorioso su Renzi nelle primarie per la scelta del candidato premier) a Palazzo Chigi e Mario Monti, il premier uscente che nel 2011 ha preso il posto di Berlusconi, al Quirinale con la benedizione di Giorgio Napolitano.


L'elezione del nuovo capo dello Stato è una grana da risolvere in fretta: il mandato di Napolitano è in scadenza e bisogna trovargli subito un successore.
Il primo tentativo fatto da Bersani, archiviate lespiritosaggini anti-Berlusconi della campagna elettorale ("smacchieremo il giaguaro") è di trovare un accordo con Forza Italia. Bersani e Berlusconi, accompagnati dai vice Enrico Letta e Angelino Alfano, si incontrano a Montecitorio in una stanza della commissione Trasporti il pomeriggio del 9 aprile. Il segretario del Pd presenta al Cavaliere una rosa di nomi, tutti ad alto coefficiente di digeribilità per i centrodestra: Massimo D'Alema, Giuliano Amato e Franco Marini. Nel frattempo i cinque stelle indicono le loro "quirinarie" : il loro candidato sarà Stefano Rodotà, giurista di sinsitra ed ex parlamentare del Pds. Ma i vertici del Pd non si fanno tentare dai grillini. Sommando i voti Pd e M5s si riuscirebbe anche a far eleggere Rodotà, ma poi che succederebbe? Si chiedono a via del Nazareno. Visti i risultati delle elezioni, non si può prendere a schiaffi Berlusconi. Bersani e Berlusconi si incontrano nuovamente, questa volta a casa di Enrico Letta a Testaccio: decidono che l'uomo giusto da votare è Franco Marini, l'ex presidente del Senato ed ex leader del Ppi, moderato e antigiustizialista.


Tra i parlamentari pd c'è nervosismo: nella riunione dei grandi elettori che deve ratificare la scelta di Marini, quasi un terzo si dissocia. Ma l'anziano politico abruzzese (ha 80 anni) è convinto di farcela lo stesso: sulla carta i voti per superare il quorum dei due terzi ci sono (i partiti che lo sostengono ne hanno 739, ne bastano 672), e lui, accompagnato dalla moglie, va a ordinare tre vestiti blu da Cenci, il negozio di abbigliamento nei pressi della Camera dove si servono parlamentari e ministri.

Si arriva così al 18 aprile, data in cui ricorre la strepitosa vittoria della dc nelle elezioni del 1948,. Ma il vecchio democristiano convinto di essere già presidente prende uno schiaffo che nessuno immaginava: gli mancano 218 voti, si ferma a quota 521. Altro che elezione con i due terzi: con questi numeri anche l'elezione al quarto scrutinio diventa un terno al lotto. Meglio soprassedere.

Nella seconda votazione, per evitare figuracce, il Pd sceglie la scheda bianca. Il giorno dopo, la mattina del 19 aprile, Bersani, compie un'inversione a U e propone all'assemblea dei grandi elettori pd di votare Romano Prodi dal quarto scrutinio. E' un azzardo sul filo dei numeri, che metterebbe in crisi il progetto di appeasement con Forza Italia (Berlusconi odia Prodi e piuttosto che votarlo farebbe voto di castità). L'assemblea esulta, tutti applaudono, e nemmeno si fa la votazione per ratificare la candidatura di Prodi, il quale viene subito chiamato da Bersani. Prodi, che si trova nel Mali, in missione per conto delle Nazioni Unite, ringrazia. Lo chiama anche D'Alema, che però gli fa uno strano discorso "La tua candidatura va benissimo ma forse decisioni del genere andrebbero prese coinvolgendo i massimi dirigenti del partito".

Prodi mangia la foglia e telefona alla moglie: "Flavia, non ti preoccupare, tanto mi sa che presidente della Repubblica non ci divento". Esaurito il terzo scrutinio (anche questo con le schede bianche del pd), Prodi scende in pista al quarto: sulla carta ci sono 496 voti, ne servono altri otto per raggiungere il quorum. Bersani è convinto di ottenerli, magari non subito, da qualche grillino dissidente e da qualche seguace di Monti (che ha dato indicazione di non votare Prodi). Ma è un bagno di sangue: Prodi prende solo 395 voti, è lontanissimo dal quorum. In 101 hanno tradito. Partono subito le accuse reciproche: per qualcuno sono stati i dalemiani che vogliono le larghe intese con Berlusconi, per altri c'è di mezzo la vendetta dei popolari di Marini, per altri anche Renzi ha dato indicazione di trafiggere Prodi. Il Pd è nel caos più totale. Bersani annuncia che si dimetterà subito dopo l'elezione del nuovo capo dello Stato, A questo punto tutti gli sguardi si voltano verso il Quirinale.

Sabato 20 Bersani sale al colle per chiedere al presidente in carica, che aveva già preparato il trasloco, di ripensarci. La stessa richiesta viene fatta a Napolitano da Berlusconi, da Monti, persino dai leghisti di Maroni. Tutti (tranne i grillini) sono convinti che solo lui potrà far uscire il Parlamento dal maleficio. Nel Pd miracolosamente scompaiono i franchi tiratori. Il 20 pomeriggio Napolitano viene rieletto: 738 voti, con appena una cinquantina di franchi tiratori. Può cominciare il secondo mandato di "re Giorgio".

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